Il percorso formativo “How to do – Eccellenza per gli Architetti” condensa un metodo operativo che integra intelligenza razionale ed emotiva, affrontando il tema della gestione dei risultati come terzo pilastro dopo la gestione del tempo e delle relazioni. La matrice comune è sempre l’interiorità: non si tratta di tecniche magiche per ottenere di più lavorando meno, ma di comprendere quali dinamiche mentali, emotive e organizzative conducono all’eccellenza professionale.

Il successo nel lavoro non si misura solo in competenze tecniche e conoscenze specialistiche, ma nella capacità di trasformare intenzioni in risultati concreti. Nel mondo dell’architettura, dove i progetti richiedono tempi lunghi, coordinamento complesso e gestione di molteplici variabili, la differenza tra chi porta a casa i risultati e chi rimane intrappolato in un ciclo di rimandi è spesso una questione di metodo interiore.

“Gestirsi nei risultati” significa proprio questo: lavorare su ciò che accade dentro di noi, sulle dinamiche personali che determinano la capacità di performare efficacemente in progetti complessi. Il principio è semplice: se continui a fare quello che hai sempre fatto, continui a ottenere quello che hai sempre ottenuto.

“Risultato = Obiettivo” è l’equazione di partenza: senza una meta chiara non esistono scelte, priorità e misure di performance. Il modello SMART rende gli obiettivi specifici, misurabili, accessibili, rilevanti e tempificati, ma il salto di qualità sta nella “buona formulazione” strutturata secondo i principi della Programmazione Neuro-Linguistica (PNL):

  • definire l’obiettivo in termini sensoriali: cosa si vede, si sente, si prova
  • retro‑pianificare le tappe a ritroso dalla data di successo
  • individuare la prima mossa oggi
  • mappare tutte le risorse interne, esterne e “storiche”: esperienze pregresse che riattivano energia e competenza
  • testare le possibili conseguenze per correggere il tiro prima di partire.

Obiettivi SMART: specifici, misurabili, accessibili, rilevanti, tempificati

Gli obiettivi SMART rappresentano uno standard riconosciuto nel management, ma spesso vengono applicati superficialmente, senza una vera consapevolezza. Averne ben chiaro il senso è invece fondamentale per ottenere risultati.

Specifico significa preciso, chiaro, documentato: più si è precisi nel definire gli obiettivi e più la mente, responsabile di tutto quello che facciamo nella vita, indirizza le azioni verso quella direzione. Se si definiscono obiettivi in modo generico o ballerino, anche la spinta risulta bassa. Misurabile significa che senza misure non è nemmeno un obiettivo. Un obiettivo privo di metrica che lo definisce potrebbe essere qualsiasi cosa: quanti metri quadri, quale budget, quanti giorni, quale percentuale. Le metriche trasformano le aspirazioni vaghe in traguardi verificabili. Accessibile significa correlato con le condizioni del contorno: se ti poni obiettivi al di là delle tue possibilità non ci riuscirai mai, è solo un impostarsi fallimentare. Dall’altra parte, se li metti troppo bassi non c’è motivazione e prevale la noia. Rilevante significa la sfida: è la sfida che stimola, che fa sentire già l’energia che si muove. Se l’obiettivo è rilevante la domanda diventa “ce la farò a fare questa cosa?” e quella tensione positiva genera performance. Tempificati significa “inseriti nel tempo”: tra qui e il momento in cui l’obiettivo viene raggiunto cosa succederà? Gli elementi temporali vanno definiti, le tappe intermedie chiarite, i momenti di verifica stabiliti. Un obiettivo senza scansione temporale rimane un desiderio indistinto. Avere un’idea molto chiara di quello che si vuole raggiungere è una leva formidabile per portare a casa i risultati.

Dal problema al piano: GROW e PDCA

Per i problemi quotidiani di progetto, il modello GROW è utile per strutturare il ragionamento:

  • Goal (cosa ottenere)
  • Reality (cosa non funziona)
  • Options (alternative praticabili)
  • Will/Do (impegno operativo e scadenze).

È la palestra della decisione rapida, che anticipa il rimando cronico e sposta le idee nel dominio dell’azione. A ciclo lungo, il PDCA (Plan‑Do‑Check‑Act) impone disciplina: pianificare a monte, eseguire senza deviazioni, verificare con dati, istituzionalizzare ciò che funziona per garantirne la continuità nel tempo.

Negoziare consenso, non solo approvazioni

Vendere un’idea progettuale significa accendere la luce sul cliente: si argomentano caratteristiche, si traducono in benefici e si collegano a motivazioni e rischi percepiti dall’interlocutore. Le obiezioni sono un bene: si fanno emergere, si riformulano e si ristrutturano fino a un accordo win‑win.

In trattativa, la regola del “trinario” è lo strumento fondamentale per negoziare con clienti o fornitori evitando sia di svendere il proprio lavoro sia di porre richieste irrealistiche.

Obiettivo massimo: il risultato migliore possibile che si può sostenere con argomentazioni solide (es: compenso pieno secondo parametri, tempi adeguati, condizioni ideali). Va definito per primo e sostenuto con fermezza perché rappresenta il valore reale del lavoro.

Obiettivo minimo: la soglia sotto la quale non si scende, tirando la cinghia al massimo (es: compenso che copre costi più margine minimo accettabile). Sotto questa soglia si rifiuta l’incarico. Obiettivo ragionevole: si posiziona in mezzo ma non necessariamente a metà. Dipende dalla conoscenza di realtà, contesto, limiti, opportunità: se si conosce il cliente come pagatore puntuale e corretto, l’obiettivo ragionevole sarà più vicino al massimo; se si ha necessità urgente di acquisire l’incarico, sarà più vicino al minimo. È importante definire sempre i tre livelli prima della trattativa, mai improvvisare. Ogni volta che si raggiunge l’obiettivo che ci si è posti (anche se minimo) ci si rinforza psicologicamente.

Leadership situazionale: dirigere, addestrare, sostenere, delegare

La leadership non è una posizione gerarchica ma un modello di comportamento che si adotta quando si influenzano gli altri. Quali sono le capacità del leader situazionale? Prima di tutto la flessibilità: non c’è un modello che funziona e altri che non funzionano, ma vari modelli che vengono utilizzati e potrebbero funzionare tutti. Seconda capacità, la diagnosi: ho capito cosa serve in questo momento, l’ho individuato, uso lo strumento più utile rispetto alla situazione creata. Terza capacità, la più teorica: contrattazione dello stile di leadership. Concordare tra capo e collaboratore qual è lo stile che è meglio utilizzare.

La griglia manageriale di Blake‑Mouton e la leadership situazionale di Blanchard convergono su un principio: lo stile giusto dipende da compito, contesto e livello di sviluppo del collaboratore. Con competenza bassa ma alta motivazione si “dirige”; quando calano energia e abilità si “addestra” (massimo sforzo tra direttività e sostegno); con competenza in crescita si “sostiene” per attivare iniziativa; con alta competenza e motivazione si “delega” davvero, mantenendo obiettivi e feedback. L’obiettivo: far crescere lo staff dagli “spenti” agli “sprinter” e alle “stelle”, mantenendo equilibrio tra risultato e cura delle persone.

La procrastinazione deriva spesso da sovraccarico cognitivo: quando si hanno troppe scadenze simultanee il cervello entra in blocco decisionale. Soluzione operativa: ogni lunedì mattina identificare i tre progetti/attività che se completati quella settimana rappresenterebbero il massimo risultato possibile. Tutto il resto diventa secondario o delegabile. Tecnica complementare: identificare dentro ogni scadenza le micro-scadenze.

Prima comprendere e analizzare la causa (brief, carico, skill), poi far rimediare chi ha sbagliato con affiancamento mirato e revisioni ravvicinate; se la competenza è insufficiente, spostare il task e attivare addestramento. La leadership efficace bilancia direttività e sostegno secondo il livello di sviluppo, riconosce lo stato emotivo del collaboratore senza infierire e gli dà strumenti per crescere. Errore da evitare: sostituirsi al collaboratore “perché la consegna è alle porte” creando dipendenza anziché autonomia.

Il “trinario” è lo strumento fondamentale per negoziare con clienti o fornitori evitando sia di svendere il proprio lavoro sia di esprimere richieste irrealistiche. Prepararsi definendo massimo, minimo, obiettivo ragionevole: mai improvvisare. Argomentare i benefici per l’altro costruendo le frasi in ottica “you”, far emergere le obiezioni e ristrutturarle, concedere solo in logica do‑ut‑des fino a un esito percepito come win‑win da entrambe le parti.

Lo stress utile (eustress) spinge la performance, il distress la degrada: oltre una soglia la resa crolla. Servono pause brevi ogni ora per ripristinare lucidità, blocchi di lavoro concentrato, micro-scadenze e micro‑revisioni per sbloccare l’impasse, pratiche di recupero (esercizio, meditazione) per mantenere la mente “aperta”, creativa ed efficace nelle decisioni, un PDCA personale settimanale per mantenere l’attenzione su priorità e carichi, intervenendo prima della soglia di degrado. Senza bilanciamento, pianificazione e igiene del lavoro, il sistema dei risultati si sfianca nelle emergenze permanenti.

Applicare la formulazione sensoriale (cosa vedrai/sentirai/proverai al traguardo), retro‑pianificare le tappe chiave a ritroso, definire la prima mossa oggi, elencare le risorse necessarie (persone, competenze, energia, contatti, strumenti) e valutare impatti collaterali per correggere prima di partire.


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