Il regolamento stabilisce che presso gli Ordini professionali siano istituiti Consigli di Disciplina Territoriale, cui sono affidati i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari riguardanti gli iscritti all’albo. I componenti dei Consigli di Disciplina sono nominati dal Presidente del Tribunale tra i soggetti indicati in un elenco di nominativi proposti dai corrispondenti Consigli dell’Ordine. Esiste però un’incompatibilità assoluta: la carica di consigliere dell’ordine territoriale è incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina, cambiamento introdotto per evitare che i consiglieri dell’ordine giudicassero se stessi o i propri colleghi. Questa riforma ha comportato significative difficoltà operative per molti Ordini, che faticano a reperire professionisti disposti ad assumere l’incarico di consigliere di disciplina. Si tratta infatti di un ruolo complesso e delicato, che richiede di valutare la condotta dei colleghi senza avere necessariamente una formazione giuridica specifica. Per questa ragione, molti Consigli di Disciplina hanno integrato nei propri collegi anche avvocati, garantendo così una maggiore competenza nella gestione degli aspetti procedurali e nell’interpretazione delle norme deontologiche.

Le fonti dell’illecito disciplinare: codice deontologico e leggi speciali

Le condotte che possono integrare un illecito disciplinare sono individuate principalmente dal codice deontologico, ma anche da specifiche disposizioni legislative che prevedono espressamente conseguenze disciplinari per determinate violazioni. Il codice deontologico vigente, entrato in vigore il 2 dicembre 2024, rappresenta una riformulazione complessiva dell’impianto delle regole di condotta professionale, consolidando un approccio valoriale oltre che prescrittivo. Il nuovo codice ha introdotto principi generali più espliciti con riferimento alla Costituzione, alla tutela del paesaggio, alla sostenibilità e al ruolo sociale della professione.

La struttura del codice deontologico si articola in diverse sezioni che individuano principi e doveri del professionista. Tra i principi fondamentali emergono:

  • la funzione sociale della professione
  • l’interesse pubblico
  • la salvaguardia del patrimonio culturale artistico e paesaggistico
  • la sostenibilità delle soluzioni progettuali
  • il rispetto dei principi costituzionali
  • i doveri etici generali comprendono la professionalità specifica, la lealtà e correttezza, l’indipendenza e autonomia di giudizio, la riservatezza, il dovere di verità
  • la particolare attenzione ai rapporti con i committenti, ai principi di legalità, alla gestione contrattuale ed economica.

Un aspetto significativo del nuovo codice riguarda l’aggiornamento alla luce dell’intelligenza artificiale. Il codice impone obblighi informativi sull’uso dell’intelligenza artificiale nei rapporti con i clienti, stabilendo che tale utilizzo deve avvenire in modo trasparente, responsabile, rispettando i principi di trasparenza, equità e riservatezza.

Accanto al codice deontologico, esistono norme di legge che prevedono espressamente conseguenze disciplinari per specifiche violazioni. L’art. 20 comma 13 del Testo Unico dell’Edilizia sancisce che chi dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti per l’intervento edilizio è punito con la reclusione da uno a tre anni, e che i responsabili del procedimento devono informare il competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari. L’art. 29 comma 2 prevede che il direttore dei lavori che non segnali difformità totali o variazioni essenziali sia passibile di sospensione dall’albo da tre mesi a due anni, termine eccezionale rispetto alla sospensione massima ordinaria di sei mesi. L’art. 76 delle norme tecniche per le costruzioni stabilisce che quando una sentenza penale relativa a opere in cemento armato diventa irrevocabile, ne viene data notizia al consiglio dell’ordine per i conseguenti provvedimenti disciplinari. Analogamente, l’art. 132 comma 7 del decreto legislativo sui consumi energetici prevede che l’autorità che applica sanzioni amministrative al direttore dei lavori deve darne comunicazione all’ordine professionale di appartenenza. Il DPR 137 del 2012 stabilisce inoltre che la violazione dell’obbligo di formazione continua, dell’obbligo di assicurazione, degli obblighi in materia di pubblicità informativa costituiscono illeciti disciplinari.

Il procedimento disciplinare: fase istruttoria e fase decisionale

Il procedimento disciplinare si articola in due fasi distinte: la fase preliminare o istruttoria e la fase del giudizio vero e proprio. La fase istruttoria è finalizzata a verificare la fondatezza della segnalazione e a raccogliere gli elementi necessari per decidere se aprire formalmente un procedimento disciplinare. L’avvio dell’azione disciplinare può derivare da segnalazioni di committenti, colleghi, enti pubblici, oppure può essere attivato d’ufficio dall’ordine professionale o direttamente dal consiglio di disciplina quando emergano notizie di particolare gravità. Durante la fase istruttoria, il presidente del collegio di disciplina assume le informazioni che ritiene opportune, può convocare l’iscritto per audizioni informali, richiede documentazione, svolge accertamenti. Al termine di questa fase preliminare, il collegio decide se archiviare la segnalazione per infondatezza o manifesta inconsistenza, oppure se aprire formalmente il procedimento disciplinare.

Quando il collegio ritiene che esistano elementi per procedere, nomina un relatore tra i propri componenti e fissa l‘udienza per il contraddittorio. L’incolpato deve essere citato con un preavviso minimo di 15 giorni, mediante comunicazione alla PEC risultante dall’albo o, in mancanza, a mezzo di ufficiale giudiziario. La citazione deve contenere l’indicazione precisa dei fatti contestati e delle norme che si ritengono violate, garantendo così il diritto di difesa. L’incolpato può farsi assistere e difendere da chi ritiene, sia da un collega che da un avvocato, e può presentare memorie scritte a proprio discarico. Durante l’udienza si procede all’esame dei fatti, all’audizione dell’incolpato se presente, alla discussione tra il relatore e la difesa. Se durante il dibattimento emergessero ulteriori profili di responsabilità, questi dovranno formare oggetto di un distinto procedimento. Questa regola tutela il diritto di difesa, evitando che l’incolpato si trovi a dover rispondere di accuse delle quali non aveva avuto preventiva conoscenza.

Le sanzioni disciplinari: tipologia e criteri di commisurazione

L’ordinamento prevede quattro tipologie di sanzioni disciplinari, graduate secondo un principio di proporzionalità rispetto alla gravità della condotta. La sanzione più lieve è l’avvertimento, verbale o scritto, che consiste nel far presente formalmente all’incolpato le mancanze commesse esortandolo a non ricaderci. La censura rappresenta il grado successivo e consiste in una dichiarazione formale delle mancanze commesse accompagnata da una manifestazione di biasimo; non impedisce l’esercizio professionale ma rimane agli atti e può essere considerata un’aggravante qualora il professionista incorresse nuovamente in violazioni deontologiche. La sospensione dall’esercizio della professione costituisce la sanzione intermedia più significativa. La durata ordinaria non può superare i sei mesi, salvi casi speciali previsti dalla legge. Durante il periodo di sospensione, il professionista non può esercitare alcuna delle attività riservate per legge alla professione. Chi presenta pratiche edilizie o svolge incarichi professionali mentre è sospeso dall’albo commette il reato di esercizio abusivo della professione punito dall’articolo 348 del codice penale. La sospensione comporta inoltre il venir meno della copertura assicurativa professionale per quegli atti, esponendo il professionista a gravissime conseguenze anche sotto il profilo della responsabilità civile. Alcune norme speciali prevedono termini di sospensione superiori ai sei mesi. L’articolo 29 del Testo Unico dell’Edilizia consente la sospensione del direttore dei lavori da tre mesi fino a due anni quando questi non abbia segnalato difformità totali o variazioni essenziali. Si tratta di una deroga eccezionale che testimonia la particolare gravità attribuita dal legislatore a questa condotta omissiva, capace di facilitare la realizzazione di abusi edilizi di rilevante entità.

La sanzione più grave è la cancellazione dall’albo, che comporta l’esclusione definitiva dall’esercizio della professione. La cancellazione è riservata a casi eccezionali di estrema gravità, quali condanne penali definitive per delitti particolarmente infamanti, infiltrazioni mafiose, comportamenti che ledano irreparabilmente la dignità e il decoro della professione. La cancellazione può essere disposta anche a tempo indeterminato in caso di morosità protratta verso l’ordine, qualora il professionista persista nel rifiuto di adempiere agli obblighi contributivi nonostante i solleciti.

L’autonomia del procedimento disciplinare rispetto al giudizio penale e civile

Una questione di fondamentale importanza riguarda i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimenti penali o civili che coinvolgano il medesimo professionista per i medesimi fatti. Il principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione è quello dell’autonomia dei giudizi. Il procedimento disciplinare è indipendente dal procedimento penale, nel senso che una condotta può essere deontologicamente rilevante anche quando il corrispondente reato sia prescritto o quando sia intervenuta l’assoluzione per insufficienza di prove. L’illecito disciplinare tutela invece l’interesse dell’ordinamento professionale al rispetto delle regole deontologiche e alla conservazione della reputazione della categoria. L’autonomia non è tuttavia assoluta. Quando esiste una sentenza penale passata in giudicato, il giudice disciplinare è vincolato all’accertamento del fatto storico operato dal giudice penale. Analogamente, l’autonomia opera nei rapporti con il giudizio civile. Il fatto che un committente abbia ottenuto in sede civile il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale del professionista non determina automaticamente l’applicazione di una sanzione disciplinare. Questa autonomia spiega perché molti committenti, oltre ad agire civilmente per ottenere il risarcimento, presentano anche segnalazioni disciplinari: cercano di utilizzare la minaccia della sanzione disciplinare come strumento di pressione nelle trattative transattive.

Nel caso di procedimento penale ancora in corso, il collegio di disciplina ha facoltà di sospendere il procedimento disciplinare in attesa della definizione del processo penale, per evitare contrapposizioni di giudicati o per acquisire gli elementi di prova raccolti in sede penale.

La prescrizione dell’illecito disciplinare

Per lungo tempo il codice deontologico non ha previsto una disciplina espressa della prescrizione, generando incertezze applicative. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha colmato questa lacuna applicando in via analogica la disciplina prevista per altre professioni, in particolare quella forense, stabilendo che l’illecito disciplinare si prescrive in cinque anni. Il termine decorre dal momento in cui la condotta si è esaurita. Per le condotte istantanee, come una falsa dichiarazione o un singolo episodio di violazione della deontologia, il termine decorre dal giorno in cui l’atto è stato compiuto. Per le condotte permanenti, come il mancato pagamento prolungato della quota di iscrizione o la mancata comunicazione della PEC, il termine decorre dal momento in cui la condotta cessa, poiché fino a quel momento l’illecito si rinnova continuamente.

La prescrizione può essere interrotta dagli atti del procedimento disciplinare. L’apertura formale del procedimento, la convocazione per l’audizione preliminare, la citazione per l’udienza costituiscono atti interruttivi della prescrizione. Ciascun atto interruttivo fa decorrere ex novo il termine quinquennale. Questo meccanismo impedisce che procedimenti disciplinari complessi, che richiedano lunghe istruttorie, possano essere vanificati dal decorso del tempo. La prescrizione ha natura sostanziale e può essere rilevata d’ufficio dal collegio di disciplina in qualunque stato e grado del procedimento.

In definitiva, il sistema disciplinare non deve essere percepito esclusivamente come strumento sanzionatorio, ma anche come presidio della qualità professionale e della reputazione collettiva della categoria. Il professionista deve sviluppare una cultura della prevenzione, operando secondo principi di correttezza, trasparenza e rispetto delle norme non soltanto per timore delle sanzioni, ma per consapevolezza del ruolo sociale che la professione riveste. La formalizzazione dei rapporti contrattuali, la documentazione accurata dell’attività svolta, il rispetto delle norme di legge e deontologiche costituiscono la migliore tutela contro il rischio di contestazioni disciplinari e, più in generale, di responsabilità professionale.

Sì, il potere disciplinare non si limita alle sole attività di progettazione e cantiere, ma si estende a tutte le condotte che possano ledere il decoro e la credibilità della professione. La Cassazione ha chiarito che l’Ordine può intervenire anche di fronte a fatti non strettamente collegati a un incarico, purché emerga una violazione dei principi di probità, dignità e correttezza che il codice deontologico richiede in modo generale agli iscritti. Nella pratica, questo riguarda soprattutto comportamenti che assumono rilievo pubblico: condanne per reati contro la pubblica amministrazione, truffe legate alla propria qualifica, atteggiamenti reiterati di scorrettezza verso clienti o colleghi che emergano in sede giudiziaria. Il procedimento disciplinare resta autonomo: il fatto che un reato sia prescritto o che il processo penale si chiuda per ragioni procedurali non impedisce all’Ordine di valutare il comportamento sotto il profilo deontologico, purché il fatto sia accertabile in modo oggettivo.

Il nuovo codice deontologico richiede trasparenza sull’uso di tecnologie avanzate, compresa l’intelligenza artificiale, ribadendo che il giudizio professionale resta sempre personale e non delegabile all’algoritmo. Dal punto di vista pratico, questo significa innanzitutto dichiarare nel contratto se e come si prevede di utilizzare strumenti di IA o sistemi automatizzati: per analisi preliminari, per simulazioni energetiche, per supporto alla ricerca normativa, per generazione di alternative progettuali. Nel rapporto con il cliente è opportuno spiegare che questi strumenti sono ausili alla valutazione, non sostituti della responsabilità dell’architetto, e che i risultati vengono sempre vagliati criticamente alla luce delle norme vigenti e delle buone pratiche. Sul piano interno allo studio diventa necessario stabilire procedure minime: verifica incrociata delle informazioni prodotte dall’IA con fonti ufficiali (normativa, giurisprudenza, prezzari), tracciabilità delle versioni dei documenti, limitazione dell’uso di contenuti generati automaticamente nei casi in cui siano richieste dichiarazioni o asseverazioni con rilevanza penale o disciplinare.

La prima regola è non ignorare la comunicazione: il procedimento ha tempi e forme precise, e la mancata partecipazione ingiustificata non lo rende nullo, ma può privare il professionista della possibilità di chiarire o ridimensionare i fatti. Alla ricezione dell’atto conviene innanzitutto leggere con attenzione gli addebiti, verificare le date (anche in relazione alla prescrizione quinquennale) e raccogliere tutta la documentazione utile: contratti, corrispondenza, verbali di cantiere, elaborati consegnati, eventuali pareri tecnici.

È consigliabile farsi assistere da un avvocato o da un collega con buona familiarità con il diritto disciplinare, soprattutto quando siano in gioco rilievi legati a norme penali (false asseverazioni, abusi edilizi, sicurezza strutturale). Davanti al Consiglio di Disciplina l’atteggiamento collaborativo, la capacità di mostrare il proprio iter logico‑professionale e l’eventuale disponibilità a rimediare agli effetti pregiudizievoli (quando possibile) pesano molto nella valutazione finale, anche ai fini della scelta tra archiviazione, avvertimento o sanzioni più gravi. In caso di decisione sfavorevole, il professionista può valutare il ricorso al Consiglio Nazionale, che riesamina sia il merito sia la correttezza della procedura, e, per i soli profili di legittimità, alla Cassazione. L’illecito disciplinare non è un terreno “punitivo” separato dalla pratica quotidiana, ma lo specchio delle aspettative che l’ordinamento e la società ripongono nella professione di architetto. Conoscere le regole, comprendere la logica del procedimento e saper documentare il proprio operato significa ridurre il rischio di contenziosi, ma anche rafforzare l’autorevolezza del proprio ruolo, in un sistema in cui l’autogoverno disciplinare è parte integrante del riconoscimento pubblico della professione.


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