Il mare come diritto universale, non come privilegio riservato a pochi. Questa affermazione, apparentemente scontata, nasconde una realtà scomoda: il 99% delle imbarcazioni a vela naviganti oggi nel mondo è inaccessibile per persone con disabilità motorie. Il seminario “Inclusive yacht design” organizzato dall’Ordine degli Architetti della provincia di Udine, in occasione della Fiera di Nautilia ad Aprilia Marittima, esplora proprio questo tema introducendo il concetto di design for all nel settore nautico. Non si tratta di creare imbarcazioni “per disabili”, ma di progettare spazi nautici per tutti, dove le soluzioni pensate per chi ha maggiori necessità diventano migliorative per l’intera utenza.

Il paradigma dell’inaccessibilità: anatomia degli ostacoli

L’inaccessibilità delle imbarcazioni è il risultato di una catena di scelte progettuali che iniziano prima ancora di salire a bordo. La passerella di imbarco rappresenta il primo ostacolo: stretta, spesso non più di 40 centimetri, priva di corrimano adeguati e instabile, costituisce una barriera psicologica e fisica anche per persone senza particolari difficoltà. Chi soffre di vertigini, chi ha problemi di equilibrio, chi semplicemente teme di cadere in acqua affronta già questa prima sfida con ansia. Una volta superata la passerella, l’ingresso in barca presenta ulteriori criticità. Fino a qualche decennio fa le imbarcazioni avevano poppe completamente chiuse, le imbarcazioni moderne con poppa aperta hanno migliorato la situazione, ma il pozzetto, lo spazio dove si svolgono le manovre di governo e dove si trova il salottino esterno, rimane caratterizzato dall’assenza di regole dimensionali. Tavolini fissi tra le panche, distanze non standardizzate, percorsi obbligati che richiedono acrobazie anche a persone normodotate.

Il massimo dell’inaccessibilità si verifica quando è il momento di scendere sottocoperta. La scala, ripidissima, rappresenta una sfida durante la navigazione con barca inclinata e onde. Gli interni sono progettati secondo una logica paradossale: massimizzare il numero di cabine e bagni a discapito degli spazi di movimento. La scala è ripida, i passaggi tra le cabine non superano i 40-50 centimetri, i bagni sono la risultante di quello che resta dopo la collocazione delle cabine. I letti rappresentano un’altra criticità: per guadagnare larghezza in una carena che si restringe, il materasso viene sollevato anche a un metro di altezza dal calpestio. I bagni, integrati nel pavimento con docce che coincidono con lo spazio dove ci si ferma per lavarsi o sedersi, i sanitari progettati in dimensioni ridotte per sfruttare al massimo la larghezza dello scafo. Le cucine variano di forma a seconda dello spazio residuo, i frigoriferi sono a pozzetto perché non c’è spazio per frigoriferi a colonna.

La domanda che emerge osservando questa situazione è: perché? La risposta risiede in quella che potremmo definire la “regola d’oro” del settore nautico: più roba riesco a mettere dentro più il cliente sarà soddisfatto. Questo approccio spinge cantieri e progettisti a sacrificare la vivibilità. Un’imbarcazione di 28 metri con quattro cabine e quattro bagni, dove ogni cabina è più piccola di una stanza d’albergo di ultima categoria, con il letto circondato da pareti a 45-50 centimetri, viene considerata più appetibile di un’imbarcazione con due cabine spaziose, luminose e confortevoli. Questa logica commerciale si autoalimenta: i cantieri affermano che “c’è domanda” per imbarcazioni stipate, ma la domanda è indotta dall’offerta disponibile. Non esistendo alternative, il mercato si assesta su questi standard.

I principi della progettazione accessibile: universal design applicato alla nautica

Progettare un’imbarcazione accessibile non significa creare un oggetto “per disabili” ma applicare i principi del design for all, dove le soluzioni pensate per l’utenza con maggiori necessità si rivelano migliorative per tutti. Il primo principio è dimensionare tutto per la massima richiesta dimensionale, che coincide con la carrozzina. Se una passerella funziona per una carrozzina, funziona perfettamente per una signora con tacchi, per una persona con valigia, per bambini, per anziani.

La passerella accessibile è larga 80 centimetri anziché 40, ha barriere anticaduta laterali e corrimano. Realizzata in carbonio, pesa 4-8 chilogrammi, facilmente posizionabile e rimovibile. Non è un dispositivo speciale ma una normale passarella sovradimensionata. La poppa aperta rappresenta la seconda caratteristica fondamentale: uno spazio sgombro da attrezzature, facilmente accessibile, che già oggi viene progettato nelle imbarcazioni moderne per ragioni estetiche ma che acquisisce valore funzionale enorme per l’accessibilità. Il pozzetto deve avere passaggi di almeno 80 centimetri, le ruote del timone distanziate per permettere il transito centrale della carrozzina, o meglio ancora timoni senza razze con meccanismi sotto il calpestio. Questo accorgimento, sperimentato fin dal 2001, permette alla carrozzina di passare attraverso il cerchio del timone senza ostacoli. I mancorrenti strategici, non per aggrapparsi disperatamente ma per garantire stabilità durante la navigazione, completano la dotazione di coperta.

Per l’accesso sottocoperta, il tambuccio deve essere sovradimensionato con sistema di apertura laterale anziché verso prua. Le scale vanno sostituite con rampe, non certamente con pendenza dell’8% come nell’edilizia civile, ma con pendenze gestibili attraverso verricelli sotto calpestio che agganciano la carrozzina e la portano su e giù dolcemente. Chi è in carrozzina comanda il proprio movimento, mantenendo autonomia e dignità, molto più importante che essere preso in braccio o calato con gru.

Gli interni richiedono passaggi larghi, niente sedute fisse ingombranti ma poltrone rimovibili, cucine con almeno una postazione libera per permettere l’accesso frontale, letti ad altezza standard del calpestio, bagni con celle allargate dove la porta si blocca sul montante frontale anziché laterale, raddoppiando così lo spazio disponibile. Tutto questo è possibile rinunciando a una cabina su tre, a un bagno su due, creando spazi vivibili anziché stipati.

Tecnologie e materiali: l’innovazione al servizio dell’inclusione

I materiali contemporanei permettono soluzioni impensabili fino a pochi anni fa. Il carbonio, pur non essendo sostenibile, consente di realizzare strutture leggerissime e resistentissime. Si stanno sviluppando materiali ecosostenibili simili al carbonio, non così strutturalmente efficienti ma comunque di ottima resa e totalmente riciclabili nel processo produttivo. Una passerella in carbonio di 80 centimetri per 3-4 metri pesa pochissimo, facilmente gestibile anche da una sola persona.

I dispositivi di movimentazione non richiedono invenzioni: esistono in commercio attrezzature per sollevare tender negli yacht che possono essere adattate per carrozzine. L’importante è utilizzare tutto ciò che esiste, evitando di inventare dispositivi speciali che farebbero lievitare i costi. Gli elevatori per disabili, già prodotti per il mercato automobilistico, possono essere integrati in vasche di contenimento standardizzate. Il concetto di standardizzazione è fondamentale: se tutte le imbarcazioni di una certa categoria avessero alloggiamenti standardizzati per elevatori, il dispositivo potrebbe essere trasferito da una barca all’altra, come avviene per i dispositivi delle automobili.

La tecnologia elettronica offre ulteriori possibilità. Sistemi di stabilizzazione con bascule comandate da sensori che rilevano secondo per secondo l’inclinazione dell’imbarcazione e compensano automaticamente, permettendo a chi è in carrozzina di rimanere verticale anche con barca sbandata. Sensori, attuatori e sistemi di controllo rappresentano tecnologie consolidate nel settore aerospaziale e automotive: applicarle alla nautica accessibile richiederebbe semplice ingegnerizzazione.

L’ecosistema dell’accessibilità: dall’infrastruttura portuale alla barca

L’imbarcazione accessibile da sola non basta: serve un ecosistema completo. Il porto deve essere accessibile con parcheggi, rampe, servizi igienici adeguati, percorsi senza barriere. Il pontile di ormeggio rappresenta l’anello di congiunzione critico: occorrono pontili galleggianti stabili, pedane di imbarco/sbarco attrezzate. Inserire in ogni porto d’Italia almeno un posto barca accessibile, così come esistono posti auto per persone disabili, rappresenterebbe un cambio culturale significativo. Questi posti barca accessibili potrebbero consistere in piattaforme galleggianti con sistemi di sollevamento, simili a quelle usate per lavare vetri su edifici o per ristrutturazioni. Una piattaforma compatta con motore impermeabilizzato o collocato in colonnina esterna, che si apre quando arriva un’imbarcazione accessibile e si chiude ospitando imbarcazioni normali il resto del tempo. L’investimento è contenuto, la gestione semplice, l’impatto enorme per chi ha necessità.

Imbarcazioni accessibili: casi studio e progetti sperimentali

Diverse tipologie di imbarcazioni dimostrano che l’accessibilità nautica è concreta, non utopia. Le imbarcazioni Access 303 e Access 2.3, di origine australiana, rappresentano barche a vela semplificate per scuola vela e attività ludica. Lunghe circa 3 metri, stabili, con velatura avvolgibile per ridurre la superficie in caso di vento forte, ospitano persone sedute su pallets di sdraio. Sono dotate di accessori modulari: sedute particolari per rispondere alle diverse esigenze, sistemi di comando col fiato per chi ha limitazioni gravi agli arti. Si sono diffuse in Italia grazie a Lega Navale e altre associazioni, permettendo regate paralimpiche partecipate.

Il Neo 495 e l’RS Venture, imbarcazioni leggermente più grandi (circa 5 metri), ospitano equipaggi di due persone affiancate con sedute avvolgenti e basculanti. Tutte le manovre, regolazioni, comandi a portata di mano. Lo SKUD 18, con equipaggio disposto in tandem come su una moto, presenta sedili basculanti comandati con pulsante per mantenere il busto ortogonale alla superficie del mare durante la sbandamento. Le due levette di governo permettono la timoneria anche a chi ha amputazioni agli arti superiori, usando una sola leva.

Progetti sperimentali di imbarcazioni più grandi mostrano soluzioni innovative. Un 45 piedi (circa 14 metri) con timoneria senza razze, rampe interne con verricelli per discesa/salita autonoma, cabina e bagno accessibili. Un 77 piedi (23 metri) con passaggi laterali in leggera pendenza che abbracciano la tuga centrale, rampa interna che taglia longitudinalmente l’imbarcazione (lo spazio sottostante utilizzato per stoccaggio tecnico), spazi generosi sacrificando una cabina. Questi progetti, pubblicati e diffusi attraverso due libri editi da Springer, intendono trasferire possibilità alle nuove generazioni di progettisti, non essere progetti conclusivi. L’Impossible Dream, catamarano statunitense accessibile, rappresenta un approccio radicale: progettazione esclusiva per persone in carrozzina, con altezze interne bassissime (chi sta in piedi deve rimanere piegato), cabine, servizi, percorsi dimensionati sulla carrozzina. È l’opposto del design for all, una scelta specifica per un’utenza precisa, che dimostra come sia possibile progettare spazi complessi completamente accessibili.

Barriere culturali e leve per il cambiamento

Le barriere principali all’accessibilità nautica non sono tecniche ma culturali ed economiche. Dal lato dei cantieri, la domanda ricorrente “ma c’è mercato?” si scontra con l’assenza di offerta che preclude la formazione della domanda. Dal lato normativo, manca una regolamentazione governativa che stabilisca standard minimi di accessibilità per imbarcazioni da diporto sotto i 24 metri (al di sopra, essendo navi, esistono già norme più specifiche). Dal lato culturale, occorre smettere di parlare di “barche per disabili” e iniziare a parlare di “barche per tutti”. Il linguaggio non è accessorio: la denominazione crea categorizzazione e stigma. Una barca accessibile è semplicemente una barca meglio progettata, dove soluzioni pensate per necessità maggiori si rivelano comode per tutti. La passerella larga è più sicura per chiunque, gli spazi generosi più vivibili, i passaggi ampi più funzionali. Il paradigma deve cambiare: non creare una categoria separata ma elevare gli standard di tutta la categoria.

Un dato demografico impone una riflessione: nel 2050 ci saranno due miliardi di persone con disabilità nel mondo. Non tutte potranno o vorranno andare per mare, ma una percentuale significativa sì. Sono persone che lavorano, hanno vite normali, possono permettersi una crociera settimanale o stagionale. Non è filantropia sociale ma semplicemente aprire un mercato enorme attualmente inesplorato. E se anche non fosse redditizio economicamente, resta una questione di civiltà: l’accessibilità è un diritto, il mare è un bene comune, negare a intere categorie di persone la possibilità di viverlo significa non essere una società pienamente civile

Le differenze fondamentali riguardano dimensionamento degli spazi e accessi. Un’imbarcazione accessibile presenta: passerelle di imbarco larghe 80 cm anziché 40 cm con corrimano e barriere anticaduta; poppa aperta con spazio sgombro da attrezzature; passaggi in pozzetto e sottocoperta di minimo 80 cm (anziché 40-50 cm); timoni distanziati o senza razze per permettere transito centrale; tambuccio (apertura sottocoperta) sovradimensionato; rampe con verricelli anziché scale ripide per accesso sottocoperta; interni con minor numero di cabine ma spazi più generosi (esempio: due cabine anziché tre in una 18 metri); letti ad altezza normale del calpestio senza gradini; bagni allargati con porte scorrevoli o sistemi di espansione dello spazio; cucine con almeno una postazione accessibile frontalmente. Fondamentale: applicare principi ergonomici per utenza con maggiori necessità, che si rivelano migliorativi per tutti.

Il carbonio permette di realizzare strutture leggerissime e resistenti (passerelle 80 cm×3-4 m, peso 4-8 kg), facilmente movimentabili. Si stanno sviluppando materiali ecosostenibili simili al carbonio, meno performanti ma riciclabili. Fondamentale: utilizzare attrezzature esistenti in commercio anziché inventare dispositivi speciali. Gruette per tender già usate negli yacht possono movimentare carrozzine. Elevatori del settore automobilistico possono integrarsi in vasche di contenimento standardizzate nelle imbarcazioni (concetto: trasferire il dispositivo da barca a barca come si fa con le auto, non comprarlo due volte). Verricelli sottocoperta per rampe sono tecnologie consolidate. Sistemi elettronici di stabilizzazione con bascule comandate da sensori che compensano lo sbandamento costano sempre meno. La standardizzazione è chiave per contenere i costi: se tutti i cantieri adottassero dimensioni standard per alloggiamenti elevatori e dispositivi di aggancio, il costo unitario crollerebbe.

Il design for all significa progettare per l’utenza con maggiori necessità (dimensionalmente: la carrozzina), ottenendo soluzioni migliorative per tutti. Esempio pratico: una passerella di 80 cm funziona perfettamente per la carrozzina, ma anche per chiunque tema di cadere in acqua. Il timone senza razze permette il transito della carrozzina, ma offre anche design più pulito e moderno apprezzato da tutti. Spazi generosi (due cabine anziché tre) risultano più vivibili per chiunque. Il linguaggio è fondamentale: smettere di dire “barca per disabili” e dire “barca accessibile” o semplicemente “barca ben progettata”. La denominazione crea categorizzazione. L’obiettivo non è creare categoria separata ma elevare gli standard generali. Le imbarcazioni Access 303, Neo 495, SKUD 18 vengono utilizzate da equipaggi misti o completamente normodotati nelle regate proprio perchè ben progettate per tutti. Quando l’accessibilità è integrata nel design generale, non si percepisce come “speciale” ma come “normale e migliore”.

Attualmente per imbarcazioni da diporto sotto 24 metri non esistono obblighi specifici di accessibilità (sopra 24 metri diventano navi con norme più stringenti). Manca una regolamentazione nazionale ed europea. Cambiamenti auspicabili: direttiva che renda obbligatoria o fortemente incentivata l’accessibilità almeno parziale (pozzetto e coperta) per nuove imbarcazioni sopra una certa dimensione (esempio: da 12-15 metri); obbligo di almeno un posto barca accessibile in ogni marina (analogo ai posti auto per disabili); standardizzazione dimensionale per alloggiamenti elevatori, dispositivi di aggancio, sistemi di movimentazione; finanziamenti europei dedicati con bandi specifici per ricerca e sviluppo nautico accessibile; recepimento principi Convenzione ONU diritti persone con disabilità anche per nautica da diporto. L’esempio del Friuli Venezia Giulia con mappatura completa dell’accessibilità costiera (Promo TurismoFVG + CRIBA, sito “Friuli Venezia Giulia per tutti”) dimostra che quando c’è volontà istituzionale si ottengono risultati concreti.

L’imbarcazione accessibile da sola non basta, serve un ecosistema che crei la catena dell’accessibilità: parcheggi dedicati con dimensioni adeguate e pavimentazione stabile; rampe con pendenze corrette da parcheggio a zona imbarco; servizi igienici accessibili; percorsi tattilo-plantari per ipovedenti; segnaletica comprensibile e multisensoriale; pontili galleggianti stabili rimovibili per eventi o stabili per attività continuative; piattaforme di imbarco/sbarco attrezzate con sistemi di sollevamento (similari a quelle per lavori edili su edifici), motore impermeabilizzato o in colonnina, apertura variabile per adattarsi a imbarcazioni diverse. Fondamentale: almeno un posto barca accessibile per marina, segnalato e prenotabile. Il CRIBA (Centro Ricerca e Documentazione Accessibilità) in Friuli Venezia Giulia offre consulenza gratuita per progettisti e privati su questi temi. Mappature dettagliate con votazioni di accessibilità aiutano gli utenti a scegliere consapevolmente.

Su imbarcazione unica custom, il sovracosto stimabile è di circa il 15-25% principalmente per: riduzione numero cabine (meno cabine significa più lavoro artigianale per ottimizzare gli spazi rimanenti), sistemi di movimentazione come elevatori e verricelli, modifiche strutturali per rampe interne, maggior attenzione progettuale. Su imbarcazioni serializzate, il sovracosto scenderebbe drasticamente grazie a: progettazione diluita su serie, standardizzazione componenti, economie di scala. Un confronto illuminante viene dal settore automotive, che ha integrato accessibilità (comandi modificati, sistemi caricamento carrozzina) con sovracosti del 5-10% su mezzi adattati, spesso scaricabili fiscalmente. La nautica potrebbe seguire lo stesso percorso.


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