Integrare la natura nel tessuto costruito significa ripensare il rapporto tra uomo, ambiente e spazio pubblico, rispondendo alle esigenze di sostenibilità, identità locale e adattamento ai cambiamenti climatici.
Il percorso che proponiamo in questo ciclo formativo a cura dell’arch. Stefano Mengoli – paesaggista e ricercatore con doppia laurea in architettura del paesaggio e scienze forestali – parte dalla ridefinizione stessa di città, intesa come organismo ecosistemico capace di ospitare biodiversità e offrire comfort ambientale. Il verde urbano, in questa prospettiva, non è solo elemento estetico, ma infrastruttura strategica che contribuisce ad aumentare la superficie permeabile, climatizzare, ombreggiare, assorbire inquinanti, migliorare la gestione delle acque meteoriche, ridurre l’isola di calore urbano.
Il concetto di verde tecnologico si inserisce in questa visione: si tratta di soluzioni innovative – come pareti verdi, tetti giardino, rain garden e bioswale – che permettono di reintrodurre la natura anche nelle aree più densamente costruite. Queste tecnologie, pur poggiando su supporti artificiali, sono progettate per favorire la biodiversità, attrarre fauna urbana e ricreare dinamiche ecosistemiche tipiche degli ambienti naturali.
Il corso è ricco di riferimenti a casi studio reali: dalla parete verde di Bolzano, che ospita fioriture e fruttificazioni, ai bioswale urbani che gestiscono le acque meteoriche senza irrigazione, fino ai sistemi di rain garden che favoriscono la biodiversità anche nei contesti più densi. Non mancano esempi di pianificazione territoriale, come la valorizzazione dei terreni residuali urbani per interventi di forestazione e compensazione ambientale.
Un ultimo aspetto, spesso trascurato, riguarda la comunicazione del progetto: il verde tecnologico, inserito in contesti fortemente artificializzati, richiede una narrazione chiara e condivisa, capace di coinvolgere cittadini e amministrazioni e di restituire significato identitario e sociale agli spazi verdi urbani.
Analisi del territorio e identità paesaggistica
Un aspetto centrale del percorso formativo è l’analisi approfondita del territorio, che va ben oltre i confini del singolo lotto di intervento. Il sopralluogo e la ricognizione geografica diventano strumenti fondamentali per comprendere la storia ecologica del luogo, le sue caratteristiche morfologiche, le emergenze architettoniche e le tracce della cultura locale. Solo attraverso questa lettura stratificata è possibile individuare le specie vegetali più adatte, valorizzare le matrici rurali e costruire un progetto che sia davvero identitario e sostenibile.
Altrettanto importante è riconoscere le diverse tipologie di paesaggio – agrario, forestale, naturale – e individuare i cosiddetti ecotoni (zone di transizione), veri e propri serbatoi di biodiversità. In questi spazi di confine tra città e campagna, tra coltivato e spontaneo, si concentrano le maggiori ricchezze floristiche e faunistiche, offrendo spunti preziosi per la progettazione di nuovi spazi verdi urbani.
Sopralluogo e ricognizione geografica
Questa fase investigativa è la base del progetto ecosistemico, fondamentale per costruire un progetto che abbia radici profonde nel contesto, valorizzando specie autoctone e pratiche agricole storiche, come la coltivazione promiscua e la presenza di filari di cipressi o olivi, elementi che raccontano la storia del paesaggio locale. Serve a indagare:
- caratteri morfologici: rilievi, bacini idrografici, suoli
- emergenze storico-architettoniche: conventi, pievi, castelli, tracce di cultura materiale
- storia ecologica: evoluzione dell’uso del suolo, incidenza antropica, presenza di specie vegetali identitarie
- paesaggi agrari: campi arati, coltivazioni promiscue
- paesaggi forestali: boschi cedui, formazioni arboree storiche
- zone di transizione ed ecotoni: aree di confine tra coltivato e naturale, veri serbatoi di biodiversità
- corridoi ecologici: fiumi, canali, filari alberati.
La capacità di individuare questi elementi permette di progettare spazi verdi che funzionano come nodi e corridoi di una rete ecologica urbana, favorendo la diffusione di flora e fauna e la resilienza del sistema città.
Un focus specifico è dedicato alle soluzioni di verde tecnologico: pareti verdi, tetti giardino, rain garden, bioswale. Queste tecnologie, pur poggiando su supporti artificiali, sono concepite per massimizzare la biodiversità e ricreare dinamiche tipiche degli ecosistemi naturali. La selezione delle specie vegetali è frutto di una ricerca attenta, che valuta sia la prestazione botanica (resilienza, adattamento microclimatico, compatibilità con substrati e supporti), sia il valore identitario (specie tipiche, familiari o esotiche non invasive), sia le funzioni ecosistemiche (ombreggiamento, assorbimento inquinanti, attrazione di fauna urbana).
La scelta delle piante non è mai banale: ogni specie porta con sé un linguaggio paesaggistico e una prestazione tecnica che va valutata rispetto al contesto e agli obiettivi di progetto.
Dall’orto monastico alle città giardino: la storia del verde urbano
Il corso approfondisce anche l’evoluzione storica del verde urbano, dalla nascita degli orti monastici fino alle più recenti esperienze di città giardino e green urbanism. L’analisi storica mostra come la presenza del verde abbia sempre rappresentato un elemento di equilibrio tra parte costruita e territorio aperto, contribuendo a definire l’identità delle città e la qualità della vita degli abitanti.
Il percorso prende avvio dall’analisi degli orti monastici medievali, veri prototipi di giardino urbano, dove la funzione produttiva si intrecciava con quella ornamentale e sociale. Questi spazi, spesso racchiusi entro mura, rappresentavano un modello di gestione sostenibile delle risorse e di organizzazione dello spazio che ha profondamente influenzato la nascita dei giardini rinascimentali e barocchi.
La storia del verde urbano è stata costellata di momenti di svolta: la diffusione degli orti botanici (come quelli di Padova e Pisa), la trasformazione delle mura difensive in parchi pubblici (Lucca, Ferrara, Treviso), l’affermazione dei grandi viali alberati e delle piazze verdi nelle città europee. Ogni epoca ha lasciato tracce riconoscibili nella morfologia urbana e nella cultura del paesaggio, ma un passaggio fondamentale è rappresentato dal movimento naturalista anglosassone e dall’utopia della città giardino, teorizzata da Patrick Geddes e concretizzata da Ebenezer Howard.
Strumenti e metodologie per la pianificazione e la gestione del verde
La formazione proposta si distingue per la ricchezza di strumenti operativi: dal censimento del verde tramite sistemi GIS all’inventario botanico delle specie, fino all’analisi delle infrastrutture verdi come insiemi funzionali. Vengono illustrate le differenze tra anagrafe semplificata (conteggio delle alberature lungo le strade) e inventario dettagliato (raccolta di dati su dimensioni, stato di salute, posizione e funzioni delle piante). Viene inoltre proposta una metodologia di lettura stratificata della vegetazione, che consente di valutare la copertura arborea, arbustiva ed erbacea, la densità e la frequenza delle specie, elementi fondamentali per garantire efficienza ecologica.
Il progettista è dunque chiamato a unire competenze botaniche, tecniche e comunicative per restituire alla città una dimensione più naturale, accogliente e resiliente. La sfida è costruire un sistema continuo di spazi verdi, capace di integrare verde ornamentale e verde territoriale, cortili storici e nuove infrastrutture verdi, parchi, viali alberati, orti urbani e soluzioni tecnologiche.
Le normative variano a livello locale, ma esistono linee guida nazionali e regionali sulla gestione del verde pubblico, oltre a regolamenti comunali che definiscono standard minimi di superficie, specie ammesse e criteri di manutenzione. È fondamentale consultare i Piani del Verde e i Regolamenti Urbanistici del territorio di riferimento.
Il verde tecnologico è particolarmente indicato nelle aree urbane densamente costruite, dove la disponibilità di suolo è limitata. Può essere applicato su edifici pubblici e privati, scuole, uffici, residenze e infrastrutture, contribuendo a migliorare la qualità dell’aria, la gestione delle acque e il comfort termico.
Esistono sistemi modulari prefabbricati, strutture a cassette, substrati leggeri e sistemi di irrigazione automatizzata. La scelta dipende dal contesto, dal carico strutturale ammissibile e dagli obiettivi progettuali (ornamentali, produttivi, ecosistemici).
È essenziale selezionare specie resilienti, adattate alle condizioni microclimatiche urbane e compatibili con lo spessore del substrato, l’esposizione e la disponibilità idrica. Le specie autoctone o naturalizzate offrono spesso le migliori garanzie di successo e minori esigenze manutentive.
Un buon progetto deve integrare analisi del contesto, scelta di specie idonee, attenzione alla biodiversità, gestione sostenibile delle risorse idriche ed energetiche, facilità di manutenzione e coinvolgimento della comunità.
Il verde riduce l’isola di calore, migliora l’ombreggiamento, abbassa la temperatura degli ambienti interni ed esterni, favorisce la ventilazione naturale e contribuisce all’isolamento termico, con effetti positivi sul risparmio energetico e sul benessere urbano.