Un prodotto legnoso nella sua essenza, sostenibile nella sua composizione attuale, ma soprattutto un supporto espressivo che ha accompagnato le rivoluzioni estetiche del design italiano dagli anni Sessanta ad oggi, fungendo da tela per alcune delle più significative sperimentazioni progettuali contemporanee.
Nel panorama dei materiali per l’architettura e il design d’interni, pochi elementi hanno attraversato le trasformazioni culturali del Novecento con la stessa capacità di reinvenzione continua delle superfici laminate. Eppure questa famiglia di materiali soffre ancora oggi di un equivoco terminologico e concettuale che ne offusca il valore progettuale: l’espressione “laminato plastico”, retaggio linguistico degli anni Sessanta, ha cristallizzato nell’immaginario collettivo un’associazione errata con materiali polimerici che poco hanno a che fare con la natura effettiva di questi prodotti. La verità materica del laminato ad alta pressione racconta una storia profondamente diversa: carta kraft proveniente da foreste gestite, impregnata con resine a base acqua, pressata a temperature di duecento gradi con cicli di cottura che possono durare fino a quarantacinque minuti, trasformata in superfici compatte che possiedono densità, resistenza e versatilità decorativa straordinarie.
Ripercorrere la storia delle superfici laminate attraverso le collaborazioni tra industria e creatività progettuale significa comprendere come un materiale tecnico sia diventato strumento culturale, come la pelle degli oggetti sia stata progressivamente riconosciuta non come accessorio decorativo ma come elemento strutturante del significato, e come l’innovazione tecnologica abbia progressivamente democratizzato l’accesso a personalizzazioni che un tempo erano appannaggio esclusivo delle grandi produzioni seriali.
Dalla chimica alle superfici: una storia di trasformazione imprenditoriale
La storia di molte aziende italiane del settore rivela percorsi imprenditoriali caratterizzati da discontinuità radicali, dove la capacità di guardare oltre i confini nazionali e di intuire mercati emergenti ha determinato trasformazioni identitarie profonde. Un caso emblematico è Abet Laminati, azienda nata nel 1946 come produttrice di estratti tannici dai noccioleti piemontesi, attività chimica tradizionale legata alle risorse locali. Nel 1957, uno dei fondatori compie un viaggio in America alla ricerca di prodotti innovativi, scoprendo quello che all’epoca si chiamava genericamente “fòrmica”: il laminato ad alta pressione, materiale che negli Stati Uniti stava rivoluzionando l’arredamento domestico per la sua resistenza, igienicità e possibilità di colorazione. Questa intuizione determina una trasformazione radicale: da azienda chimica ad azienda di superfici, acquisendo inizialmente la licenza per produrre e distribuire in Italia, poi sviluppando autonomamente tecnologie e competenze produttive. Quello che oggi appare come un cambio settoriale evidente, all’epoca rappresentava una scommessa visionaria su un materiale che in Europa era pressoché sconosciuto. L’importazione iniziale si limitava a quattro colori (bianco, azzurro, nero, verde) che costituivano l’offerta standard americana, sufficiente per un mercato che cercava principalmente resistenza e pulizia per cucine e bagni. L’intuizione strategica successiva arriva nel 1966 con l’invenzione della “Finitura 6”, superficie con leggera texture movimentata che garantiva elevata resistenza all’abrasione risultando particolarmente adatta alle tinte unite. Questa finitura, ancora oggi la più venduta, testimonia come alcune scelte tecniche diventino standard de facto per generazioni di progettisti e produttori. Ma soprattutto evidenzia un elemento distintivo dell’approccio italiano: mentre il mercato americano privilegiava funzionalità e standardizzazione, l’industria italiana intuiva che il laminato poteva diventare strumento espressivo, superficie da progettare oltre la mera funzione protettiva.
La composizione materica: carta, resina e trasformazione termochimica
Comprendere cosa sia effettivamente un laminato ad alta pressione (HPL – High Pressure Laminate) risulta fondamentale per superare preconcetti e utilizzarlo consapevolmente in progettazione. La base del prodotto consiste in fogli di carta kraft stratificati: la carta utilizzata proviene dalla stessa filiera della carta da imballaggio, ma con caratteristiche tecniche specifiche che ne garantiscono capacità di impregnazione e comportamento meccanico adeguato. Il settanta per cento del prodotto finito è carta, il trenta per cento resine fenoliche a base acqua che impregnano le fibre legnose conferendo al materiale finale compattezza e resistenza. Il processo produttivo avviene in presse statiche dove i “panetti” di fogli impregnati vengono sottoposti a temperature che raggiungono i duecento gradi con pressioni elevatissime, mantenute per tempi variabili in funzione dello spessore desiderato. Un pannello può richiedere quasi due ore tra cottura e raffreddamento, processo che trasforma materiali apparentemente fragili in superfici compatte capaci di raggiungere spessori da 0,6 millimetri fino a 20 millimetri, con dimensioni che variano dal formato americano standard fino a pannelli di oltre quattro metri di lunghezza.
La distinzione tra HPL (High Pressure Laminate) e CPL (Continuous Pressure Laminate) riguarda la tecnologia produttiva: le presse statiche garantiscono pressioni elevatissime e tempi di cottura prolungati che si traducono in resistenza superficiale superiore e possibilità di realizzare spessori elevati; le linee continue producono più velocemente ma con pressioni inferiori, limitandosi a spessori ridotti (massimo 1-2 mm) e con caratteristiche prestazionali inferiori. Questa differenza tecnica si traduce in ambiti applicativi distinti: l’HPL risulta adatto per piani di lavoro, rivestimenti sottoposti a usura, superfici esterne, mentre il CPL trova applicazione prevalente in rivestimenti verticali protetti.
Un aspetto cruciale riguarda la sostenibilità ambientale del prodotto contemporaneo. L’evoluzione tecnologica degli ultimi vent’anni ha portato alla sostituzione delle impregnazioni alcoliche con impregnazioni a base acqua, eliminando le emissioni di solventi volatili. Parallelamente, l’introduzione massiccia di carte kraft riciclate post-consumer ha ridotto l’impatto ambientale complessivo. I cicli produttivi recuperano l’acqua utilizzata nel raffreddamento delle presse, i fumi di cottura vengono bruciati per produrre energia termica che riscalda le stesse presse, gli sfridi di lavorazione alimentano le centrali termiche aziendali. Il laminato possiede certificazione LCA – Life Cycle Assessment che ne documenta l’impronta ambientale “dalla culla al cancello”, risultando un prodotto sostanzialmente carbon-neutral nella fase produttiva. La prossima sfida riguarderà la sostenibilità complessiva del ciclo di vita. Nonostante gli avanzamenti, il laminato tradizionale contiene resine termoindurenti che impediscono il riciclo meccanico a fine vita, limitando le opzioni allo smaltimento termico con recupero energetico. La ricerca attuale è concentrata sullo sviluppo di materiali alternativi che mantengano le prestazioni superficiali del laminato, utilizzando però leganti riciclabili o biodegradabili che permettano il riutilizzo delle fibre cellulosiche.
Superstudio e la superficie come dichiarazione progettuale
Prima che Memphis rivoluzionasse il mondo del design all’inizio degli anni Ottanta, la cultura radicale italiana degli anni Sessanta-Settanta aveva già intuito il potenziale espressivo delle superfici laminate. Superstudio, collettivo fiorentino formato da Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo di Francia e altri, concepisce tra il 1966 e il 1971 la serie “Misura”, prodotta poi da Zanotta con il nome commerciale “Quaderna”: mobili rivestiti interamente con laminato decorato da una griglia di quadretti neri di tre centimetri su fondo bianco, che trasforma ogni superficie in un reticolo cartesiano misurabile.
L’operazione concettuale risulta radicale: la griglia non è decorazione ma sistema di misurazione visiva che estende il foglio tecnico dell’architetto alla tridimensionalità dell’oggetto. La scrivania, il tavolo, gli armadi diventano strumenti di misura oltre che arredi, in un’utopia progettuale che ambiva a trattare l’intero spazio abitabile con la medesima logica superficiale. Quando Aurelio Zanotta presenta questa collezione in fiera, tutto lo stand e persino gli operatori sono vestiti con tessuto a quadretti, estendendo il pattern dalla superficie degli oggetti ai corpi delle persone, rendendo esplicita l’intenzione totalizzante del progetto. Questa operazione anticipa temi che Memphis svilupperà ulteriormente: il laminato non come surrogato economico di materiali nobili, ma come materiale identitario che marca le superfici con forza visiva prepotente, spostando l’attenzione dalla forma alla pelle, dal volume alla texture. Gli Ultramobili realizzati da Superstudio verso la fine degli anni Sessanta consolidano questo approccio: armadi dove pattern geometrici contrastanti creano vibrazioni ottiche che annullano la percezione volumetrica tradizionale, sostituita da un’esperienza puramente superficiale.
Memphis: la superficie come contenuto profondo
L’avvento di Memphis nel settembre 1981 segna una discontinuità culturale paragonabile a uno shock sismico che rompe irreversibilmente la superficie della terra, creando un prima e un dopo invalicabile. Ettore Sottsass, affiancato da un gruppo eterogeneo di progettisti (Michele De Lucchi, Aldo Cibic, Nathalie Du Pasquier, Martine Bedin, Matteo Thun, George Sowden e molti altri), sovverte totalmente il paradigma del design funzionalista che aveva dominato il dopoguerra. Il salotto color nocciola con divano in pelle e mobile in noce viene sradicato, sostituito da oggetti che gridano attraverso colori violenti, accostamenti cromatici imprevedibili, pattern decorativi che ricoprono ogni centimetro di superficie disponibile.
Il decoro “Bacterio”, disegnato da Sottsass con Barbara Radice tracciando al pennarello nero piccoli esseri informi su fondo chiaro, diventa manifesto di questo approccio: la superficie del laminato non imita più materiali nobili ma dichiara la propria identità artificiale, giocosa, ironica. Altri pattern Memphis riprendono elementi della cultura popolare, creano vibrazioni ottiche attraverso geometrie contrastanti, oppure nobilitano il kitsch trasformandolo in linguaggio consapevole. La libreria “Carlton” di Sottsass, probabilmente l’oggetto più iconico di Memphis, sintetizza questa filosofia: una struttura antropomorfa dove piani obliqui rivestiti in laminati colorati compatti si incastrano, creando un totem che stravolge completamente la funzione tradizionale della libreria organizzata per volumi ortogonali. L’oggetto non serve più primariamente a contenere libri ma a dichiarare un’identità, a comunicare gioia, energia, rottura con il passato. La superficie diventa il vero contenuto, in un’apparente contraddizione che rivela invece una verità profonda: ciò che percepiamo immediatamente di un oggetto non è la sua struttura interna ma la sua pelle, ed è attraverso quella pelle che l’oggetto comunica significato.
Memphis rappresenta anche un caso industriale significativo: le aziende italiane del settore intuiscono immediatamente il valore di questa sperimentazione, non solo producendo i decori disegnati dai designer ma collezionando sistematicamente gli oggetti realizzati e creando raccolte museali che oggi costituiscono patrimonio storico insostituibile. Questa lungimiranza imprenditoriale, capace di intravedere valore culturale e prospettico in operazioni che all’epoca scandalizzavano il pubblico e la critica tradizionale, distingue l’approccio italiano da quello di molti altri paesi dove l’industria privilegia investimenti con ritorni immediati misurabili.
Dalla serigrafia al digitale: democratizzare la personalizzazione
Per decenni la personalizzazione dei laminati decorativi avveniva attraverso tecniche serigrafiche: telai incisi permettevano di stampare pattern ripetuti su superfici predefinite, processo che richiedeva investimenti considerevoli in attrezzature e che risultava economicamente sostenibile solo per produzioni seriali di migliaia di metri quadri. Questa limitazione tecnologica concentrava le collezioni decorate in mano a grandi designer capaci di garantire volumi di vendita adeguati, escludendo di fatto la possibilità per singoli architetti o piccoli studi di realizzare superfici custom per progetti specifici.
L’avvento della stampa digitale a inizio anni Duemila trasforma radicalmente questo scenario, democratizzando l’accesso alla personalizzazione. Le aziende più avanzate installano linee di stampa digitale che permettono di produrre anche singoli pannelli decorati partendo da file grafici, eliminando i costi fissi di attrezzaggio che rendevano proibitive le piccole quantità. Questo passaggio tecnologico non rappresenta solo un’evoluzione produttiva ma un cambio di paradigma culturale: il laminato da prodotto industriale standardizzato diventa materiale sartoriale, dove ogni progettista può disegnare la propria superficie esattamente come un tempo disegnava un mobile su misura.
Le implicazioni progettuali risultano evidenti: un hotel può decorare le testate dei letti con pattern specifici che raccontano il territorio o la storia dell’edificio; uno spazio commerciale può rivestire pareti e banconi con grafiche coerenti con l’identità del brand; un’abitazione privata può personalizzare la cucina con decori disegnati dagli stessi abitanti. Questa possibilità richiede però competenze nuove: conoscere i formati file corretti, le risoluzioni necessarie, le dimensioni massime stampabili, le finiture superficiali disponibili.
Le aziende più attente hanno creato piattaforme digitali dedicate dove architetti e designer possono caricare i propri file grafici, ricevere immediatamente verifiche di fattibilità tecnica e preventivi automatici, dialogare con tecnici specializzati per ottimizzare i progetti. Queste piattaforme includono vademecum che spiegano come impostare correttamente i file, quali formati utilizzare, come gestire le ripetizioni di pattern, come considerare le tolleranze dimensionali nella fase esecutiva.
Colore, texture e innovazione materica: le collezioni contemporanee
Parallelamente alla personalizzazione digitale, le aziende sviluppano collezioni firmate dove designer internazionali interpretano le possibilità espressive del laminato contemporaneo. Arthur Arbesser, fashion designer austriaco, trasferisce nel 2003 la sua expertise tessile in una collezione dove i pattern ricordano trame e orditi, dimostrando come linguaggi di settori apparentemente distanti possano contaminare produttivamente il mondo delle superfici architettoniche. Paola Navone, collaboratrice storica e parte del gruppo Memphis agli esordi, sviluppa collezioni che mantengono viva quella tradizione sperimentale adattandola alle sensibilità contemporanee. La collezione “Mare Nostrum” introduce un elemento di forte significato ambientale: tutti i supporti (le carte kraft che costituiscono il corpo del laminato) sono realizzati con carta cento per cento riciclata post-consumer, rispondendo alle crescenti richieste di sostenibilità certificate. I decori reinterpretano il tema marino attraverso linguaggi contemporanei: le barchette di carta diventano texture ripetuta, le reti da pesca (quelle che tragicamente si trovano disperse negli oceani) si trasformano in pattern grafico, la pelle dello squalo viene riprodotta con effetti ottici tridimensionali ottenuti però su superficie perfettamente liscia. “Net”, decoro che utilizza griglia da un centimetro anziché i tre centimetri della storica Quaderna, trasforma il riferimento in carta millimetrata utile per progettisti e artigiani che lavorano quotidianamente con misure precise. “Island” evoca superfici insulari attraverso macchie organiche irregolari. “Fetcher” riproduce il moto ondoso con texture leggermente tridimensionale che ricorda il capitonné dei divani, dimostrando come le finiture superficiali (lisce, ruvide, martellate, goffrate) contribuiscano tanto quanto il decoro grafico alla percezione finale del materiale. “Work in Progress” di Mario Scairato ironizza sui linguaggi del cantiere e dell’edilizia, sdoganando estetiche considerate “brutte” o provvisorie (le reti arancioni dei cantieri, i mattoni non intonacati, la segnaletica di sicurezza) e trasformandole in decorazioni consapevoli che celebrano il processo costruttivo anziché nasconderlo. Pierre Charpin recupera il lavoro tipografico del padre trasformando caratteri tipografici storici in pattern decorativi, dimostrando come la memoria familiare e culturale possa alimentare linguaggi contemporanei.
Queste collezioni non rappresentano esercizi stilistici fini a sé stessi ma ricerche continue sul significato delle superfici, sul rapporto tra funzione e comunicazione, sulla capacità dei materiali di raccontare storie e trasmettere valori oltre la mera prestazione tecnica.
Full color e lavorazioni speciali: ampliare le possibilità tecniche
Oltre al decoro superficiale, un elemento tecnico che ha trasformato le possibilità applicative del laminato riguarda il colore del supporto. Tradizionalmente il corpo del laminato (le carte kraft non decorate che costituiscono lo spessore) presentava il colore naturale della carta, un marrone che emergeva visibilmente sui bordi dei pannelli. Questo creava un problema estetico significativo: un piano da cucina bianco mostrava bordi marroni che rivelavano immediatamente la natura composita del materiale, impedendo l’illusione di un materiale monolitico. L’introduzione della tecnologia “full color” risolve questo limite utilizzando carte kraft pre-colorate o impregnate con pigmenti colorati che attraversano tutto lo spessore del pannello. Oggi sono disponibili undici colori di supporto differenti che permettono di abbinare il colore del bordo a quello della superficie decorativa. Questa innovazione risulta particolarmente significativa per applicazioni dove il bordo del pannello rimane visibile: piani da cucina, tavoli, banconi, mensole, rivestimenti con giunti a vista. La possibilità di scegliere il colore del supporto in fase progettuale aggiunge un grado di libertà che avvicina ulteriormente il laminato ai materiali lapidei o lignei massivi, pur mantenendo vantaggi prestazionali specifici.
Le lavorazioni speciali completano il ventaglio di possibilità tecniche:
- la post-formatura permette di curvare laminati sottili (0,6-0,9 mm) utilizzando impregnazioni specifiche che conferiscono flessibilità al materiale cotto
- il pre-forming prevede la termoformatura del supporto prima dell’applicazione del laminato
- il folding consente piegature ad angolo vivo asportando materiale sul retro del pannello nella zona di piega.
Queste tecniche richiedono competenze specifiche e collaborazione stretta tra progettista e applicatore, ma ampliano enormemente le possibilità formali: elementi tridimensionali complessi, rivestimenti continui su superfici articolate, mobili dove il laminato non si limita a rivestire piani ma diventa pelle continua che definisce volumi. La limitazione principale rimane la necessità di applicare il laminato su un supporto strutturale (pannelli di particelle, MDF, compensato, alluminio) che garantisca la stabilità dimensionale dell’insieme.
Certificazioni, normative e ambiti applicativi specialistici
La complessità normativa che governa l’utilizzo dei materiali in architettura richiede sistemi certificativi articolati che attestino prestazioni specifiche in relazione ai diversi ambiti applicativi. Per i laminati ad alta pressione, la norma europea di riferimento è la UNI EN 438-1:2016 che definisce caratteristiche prestazionali, metodi di prova e classificazioni.
Le certificazioni di reazione al fuoco risultano cruciali per applicazioni in ambienti pubblici, mezzi di trasporto, strutture ricettive. I laminati possono raggiungere classi di reazione al fuoco elevate (Euroclass B-s1, d0) utilizzando carte e resine ignifughe, permettendo l’utilizzo in corridoi di evacuazione, scale, ambienti affollati dove le normative impongono materiali non combustibili o a combustione limitata. La certificazione IMO-MED (International Maritime Organization – Marine Equipment Directive) attesta l’idoneità per applicazioni navali, settore dove i requisiti di sicurezza antincendio risultano particolarmente severi.
Per il settore ferroviario esistono normative specifiche (UNI EN 45545) che regolamentano la reazione al fuoco e l’emissione di fumi tossici dei materiali utilizzati nei rotabili. I laminati certificati per questo settore vengono utilizzati massicciamente in treni, metropolitane, tram per rivestire pareti, soffitti, tavoli, banconi bar. Il settore nautico, sia nel cruise sia nello yachting, rappresenta un ambito applicativo in forte crescita. Tradizionalmente questi ambienti utilizzavano legni pregiati o resine, ma l’avvento del charter settimanale ha richiesto materiali con maggiore resistenza all’usura e facilità di manutenzione. Il laminato, capace di imitare fedelmente essenze lignee pregiate ma con prestazioni superiori in termini di resistenza all’umidità, alle macchie e all’abrasione, si è imposto come soluzione ottimale.
Gli ambienti commerciali (negozi, ristoranti, hotel, aeroporti, stazioni) sfruttano la possibilità di realizzare superfici personalizzate che comunicano l’identità del brand attraverso colori, pattern, texture specifiche. La durabilità e la facilità di pulizia risultano fondamentali in contesti ad alto traffico dove l’aspetto estetico deve mantenersi inalterato nel tempo. Settori particolari come le piste da bowling, i tavoli da ping-pong, i parchi gioco utilizzano laminati tecnici sviluppati per rispondere a sollecitazioni meccaniche specifiche.
Le superfici come territorio di ricerca permanente
La vicenda storica e tecnica delle superfici laminate racconta una traiettoria che va ben oltre l’evoluzione di un prodotto industriale, investendo questioni culturali profonde sul significato dell’artificialità, sul rapporto tra funzione e comunicazione, sulla democratizzazione dell’accesso a strumenti espressivi un tempo riservati a élite produttive. Memphis ha insegnato che la pelle degli oggetti non è accessorio ma sostanza, che una superficie può contenere più significato di una struttura complessa, che il valore percepito di un prodotto dipende più da come appare che da cosa nasconde. Le tecnologie digitali contemporanee hanno trasformato questa intuizione in possibilità operativa concreta: ogni progettista può disegnare la propria superficie personalizzata, vedersela prodotta in quantità minime, applicarla a progetti specifici creando identità uniche. Questa democratizzazione non ha però banalizzato il materiale, ma ne ha ampliato le possibilità espressive moltiplicando i linguaggi e le applicazioni. Dai treni alle cucine, dalle facciate ventilate agli yacht, dai banconi commerciali ai tavoli domestici, il laminato ha colonizzato praticamente ogni ambito dell’abitare contemporaneo mantenendo sempre quella duplice natura di materiale tecnico prestazionale e di supporto comunicativo.







