I cantieri temporanei e mobili rappresentano da decenni uno dei luoghi di lavoro più pericolosi, condividendo stabilmente con l’agricoltura il podio delle attività con il più alto tasso di infortuni gravi e mortali. Questa statistica deriva da caratteristiche strutturali peculiari: la temporaneità o mobilità dei cantieri che genera un’evoluzione continua delle condizioni di lavoro, l’esposizione ad agenti atmosferici che modificano rapidamente i parametri di sicurezza, e la complessità derivante dalla compresenza di più entità che devono coordinarsi in spazi ristretti. Proprio per questa complessità, la sicurezza richiede una gestione coordinata dei rischi, con un Piano di Sicurezza e Coordinamento che non elenchi soltanto misure, ma renda trasparente l’iter logico-intellettivo che ha guidato scelte, priorità e soluzioni. Il cambio di paradigma è passare dalla check-list alla strategia: nei rischi particolari non basta “averlo scritto”, serve dimostrare di aver prevenuto l’errore umano prevedibile, perché la condotta del garante è valutata proprio quando il lavoratore può essere fallace, non quando è perfetto.
L’approccio interpretativo: tra pensiero tecnico e pensiero giuridico
Esiste una discrepanza profonda tra il modo in cui i tecnici e i giudici interpretano la sicurezza. Il mondo del diritto si è formato il convincimento che, se nonostante una normativa dettagliata, figure professionali qualificate, strumenti specifici come il Piano di Sicurezza e Coordinamento continuano ad accadere infortuni gravi, allora “questi soggetti o non sono qualificati oppure hanno una concezione della sicurezza più a livello formale che a livello sostanziale”. Questa interpretazione impone ai coordinatori un cambio radicale di approccio metodologico. Non basta applicare le norme tecniche in modo autoreferenziale: occorre evidenziare l’iter logico-intellettivo seguito, documentare le fonti, motivare le scelte progettuali con criteri chiari. Nei giudizi penali viene processata la condotta del soggetto, e dare evidenza documentale di aver valutato e affrontato i rischi particolari in modo specifico è fondamentale per dimostrare l’adempimento diligente della posizione di garanzia. La Corte di Cassazione ha affermato un principio apparentemente paradossale ma giuridicamente fondato: “dovete proteggere il lavoratore non nel momento in cui è scrupoloso e osservante, ma nel momento in cui può diventare fallace”. Tradotto in termini operativi, significa che il sistema di sicurezza deve essere progettato considerando che i lavoratori possono commettere errori, avere comportamenti irrazionali, violare le procedure.
L’Allegato XI: catalogo dei rischi particolari
L’Allegato XI del decreto legislativo 81/2008 elenca tassativamente i lavori comportanti rischi particolari, riprendendo sostanzialmente quanto già previsto dalla direttiva cantieri 92/57/CEE e dal decreto legislativo 494/1996. Questo elenco non è casuale ma rappresenta la cristallizzazione normativa di categorie di pericoli che l’esperienza infortunistica e l’analisi epidemiologica hanno individuato come cause ricorrenti di eventi gravi o mortali.
I lavori che espongono a rischi di seppellimento o sprofondamento riguardano principalmente scavi di profondità superiore a un metro e mezzo, categorie che nella prassi edilizia sono estremamente frequenti. L’articolo 118 del decreto stabilisce regole cautelari specifiche: le pareti dei fronti di attacco non devono avere inclinazione tale da impedire franamenti in relazione alla natura del terreno, è vietato lo scavo manuale per scalzamento alla base quando la natura del terreno o condizioni atmosferiche fanno temere franamenti, deve essere vietata la presenza di operai nel campo d’azione dell’escavatore. L’articolo 119 aggiunge che negli scavi di pozzi, trincee e cunicoli profondi più di un metro e mezzo, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, si deve provvedere all’applicazione di armature di sostegno con tavole che sporgano almeno 30 centimetri oltre il bordo.
I lavori che espongono a rischi di caduta dall’alto da altezza superiore a due metri costituiscono probabilmente la categoria più vasta e quella che genera il maggior numero di infortuni mortali. L’articolo 107 definisce il lavoro in quota come qualsiasi attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a due metri rispetto a un piano stabile. La giurisprudenza ha precisato che questa altezza va calcolata “in riferimento all’altezza alla quale il lavoro viene eseguito rispetto al terreno sottostante e non al piano di calpestio del lavoratore”: se un operaio su una scala a 40 centimetri dal suolo lavora su un piano a 2,5 metri di altezza, si tratta di lavoro in quota anche se i suoi piedi sono a meno di due metri. L’articolo 111 stabilisce la gerarchia delle misure di prevenzione: quando i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza a partire da un piano adatto allo scopo, si scelgono attrezzature idonee garantendo priorità alle misure di protezione collettiva (parapetti, impalcati, reti) rispetto ai dispositivi di protezione individuale (imbracature, cordini, punti di ancoraggio). Questa gerarchia non è discrezionale: solo quando non è possibile evitare, ridurre e affrontare adeguatamente i rischi con misure tecniche di prevenzione si ricorre ai DPI anticaduta. Nel PSC occorre motivare esplicitamente questa scelta, documentando perché i sistemi collettivi non sono applicabili.
I lavori che espongono a rischio di esplosione comprendono sia l’uso di esplosivi sia il rinvenimento di ordigni bellici inesplosi. L’Allegato XV richiede che il PSC effettui l’analisi dei rischi presenti facendo particolare attenzione al “rischio di esplosione derivante dall’innesco accidentale di ordigno bellico inesploso rinvenuto durante le attività di scavo”.
I lavori che espongono a sostanze chimiche o biologiche con rischi particolari richiedono sorveglianza sanitaria obbligatoria. Tra i rischi emergenti legati alla cosiddetta “edilizia verde” si segnalano gli isocianati, le resine epossidiche e poliuretaniche, le fibre minerali artificiali vetrose. Il Regolamento Prodotti da Costruzione (CPR 305/2011, aggiornato dal CPR 3110/2024) impone che tutti i materiali da costruzione siano accompagnati da Dichiarazione di Prestazione con marcatura CE, includendo informazioni sulla presenza di sostanze pericolose. Il coordinatore per la progettazione deve considerare questi aspetti nella scelta dei materiali, privilegiando prodotti a minor impatto sulla salute quando tecnicamente equivalenti. Il coordinatore per l’esecuzione deve verificare che nei POS siano indicate le misure specifiche di protezione, ad esempio: ventilazione forzata, DPI respiratori con filtri adeguati, procedure di manipolazione.
I lavori in prossimità di linee elettriche rappresentano causa frequente di elettrocuzioni mortali. L’articolo 83 del decreto vieta l’esecuzione di lavori non elettrici in vicinanza di linee elettriche a distanze inferiori ai limiti stabiliti, mentre l’articolo 117 prescrive specificamente per i cantieri il rispetto di almeno una tra queste precauzioni: mettere fuori tensione e mettere in sicurezza le parti attive, posizionare ostacoli rigidi che impediscano l’avvicinamento, mantenere persone e attrezzature a distanza di sicurezza non inferiore ai limiti dell’Allegato IX. L’INAIL ha pubblicato nel 2016 un quaderno tecnico specifico sui lavori in prossimità di linee elettriche, fornendo metodologie operative e riferimenti alle norme CEI per la classificazione delle zone a rischio.
I lavori che espongono a rischio di annegamento riguardano principalmente interventi in prossimità di corsi d’acqua, falde con forte escursione stagionale, o in presenza di eventi atmosferici eccezionali. La valutazione deve considerare non solo le condizioni ordinarie ma anche scenari emergenziali: innalzamenti improvvisi del livello della falda durante piogge intense, allagamenti di scavi per rottura di condotte idriche o fognarie, presenza di ristagni d’acqua. Le misure preventive comprendono sistemi di pompaggio continuo con ridondanza degli impianti, vie di fuga sempre sgombre e illuminate, giubbotti di salvataggio per lavori su pontoni o in alveo, presenza di personale addestrato al soccorso acquatico.
I lavori in pozzi, sterri sotterranei, cunicoli e gallerie presentano rischi cumulativi: caduta dall’alto durante l’accesso, seppellimento per crolli, presenza di gas tossici o asfissianti, carenza di ossigeno. L’articolo 66 del decreto 81/2008 stabilisce che è vietato entrare in pozzi, fogne, cunicoli o simili senza preventiva verifica dell’assenza di gas o vapori nocivi, o senza adeguata aerazione. Il DPR 177/2011 ha introdotto norme specifiche per la qualificazione delle imprese operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
I lavori in cassoni ad aria compressa e i lavori subacquei con respiratori richiedono personale specificamente addestrato e certificato. Raramente si incontrano nei cantieri edili ordinari, ma quando presenti richiedono coordinamento con enti esterni certificatori, specialisti in medicina iperbarica, procedure di decompressione rigorose. Il PSC deve limitarsi a individuare la necessità di queste lavorazioni speciali e prescrivere che vengano affidate esclusivamente a imprese specializzate con certificazioni specifiche.
I lavori comportanti l’impiego di esplosivi per demolizioni, sbancamenti rocciosi o disgaggio in zone montane sono sottoposti a normativa speciale che coinvolge autorizzazioni di pubblica sicurezza, artificieri, depositi autorizzati per lo stoccaggio, piani di brillamento approvati. Il coordinatore non entra nel merito tecnico delle operazioni di brillamento ma deve garantire l’evacuazione preventiva di tutte le maestranze presenti in cantiere, la segnalazione e delimitazione dell’area a rischio, il coordinamento temporale per evitare sovrapposizioni con altre lavorazioni.
I lavori di montaggio o smontaggio di elementi prefabbricati pesanti completano l’elenco dell’Allegato XI. La distinzione tra prefabbricati pesanti e prefabbricati leggeri è rilevante: solo i primi rientrano nei rischi particolari. La circolare del Ministero del Lavoro n.13 del gennaio 1982, ancora applicata, fornisce istruzioni per la prevenzione degli infortuni nella produzione, trasporto e montaggio di elementi prefabbricati, prescrivendo dispositivi di protezione collettiva per il montaggio in sicurezza. I rischi specifici comprendono: caduta dell’elemento durante il sollevamento per cedimento delle imbracature o errori di aggancio, ribaltamento dell’elemento posato ma non ancora fissato definitivamente, investimento di operai da elementi instabili per effetto di sollecitazioni esterne, cedimenti delle strutture provvisionali di sostegno.
Effetti giuridici della qualificazione come rischio particolare
La presenza di rischi particolari produce conseguenze normative specifiche che attraversano l’intero impianto del decreto legislativo 81/2008. L’articolo 90 stabilisce che il committente, nell’ambito della verifica dell’idoneità tecnico-professionale delle imprese, deve applicare criteri diversificati a seconda che il cantiere preveda o meno lavori comportanti rischi particolari: per cantieri con entità presunta inferiore a 200 uomini-giorno ma con rischi particolari, la verifica deve essere più approfondita rispetto ai cantieri senza rischi particolari della stessa entità. L’articolo 100, dedicato ai contenuti minimi del Piano di Sicurezza e Coordinamento, richiede che il PSC comprenda “almeno una planimetria sull’organizzazione del cantiere e, ove la particolarità dell’opera lo richieda, una tavola tecnica sugli scavi”. La menzione specifica degli scavi, categoria di rischio particolare, sottolinea l’esigenza di un approccio progettuale grafico, non solo descrittivo. Prescrive inoltre che il PSC “comprenda, in riferimento all’area di cantiere, l’analisi e le relative misure di prevenzione, con riguardo a: misure generali di protezione contro i rischi di seppellimento da adottare negli scavi; lavori comportanti rischi particolari di cui all’Allegato XI”. Nel redigere il PSC è opportuno dare evidenza di ciascuna di queste categorie, indicando esplicitamente quando un determinato rischio non sussiste per le caratteristiche specifiche del cantiere. Questa prassi documentale dimostra che il coordinatore ha effettivamente considerato tutti i rischi particolari elencati dalla norma, giungendo a una valutazione motivata di presenza o assenza. Scrivere “rischio di seppellimento da scavi: non presente in cantiere in quanto non sono previsti scavi” è molto diverso dal non menzionare affatto il rischio: nel primo caso si documenta una valutazione compiuta, nel secondo si lascia aperta l’interpretazione di una dimenticanza.
L’articolo 26, relativo agli obblighi del datore di lavoro committente nei confronti di imprese appaltatrici o lavoratori autonomi, stabilisce che l’obbligo di redazione del DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali) non si applica ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, né ai lavori di durata non superiore a 5 uomini-giorno, “sempre che essi non comportino rischi derivanti dal rischio di incendio di livello elevato o dalla presenza di agenti cancerogeni o dalla presenza dei rischi particolari di cui all’Allegato XI”. Anche un lavoro di brevissima durata (4 uomini-giorno), se comporta rischi particolari, richiede la redazione del DUVRI quando svolto all’interno di un ambiente di lavoro già operativo.
Le fonti tecniche di riferimento: quaderni INAIL e normativa UNI
La complessità tecnica dei rischi particolari richiede al coordinatore di attingere a fonti qualificate che integrino le disposizioni normative con indicazioni operative dettagliate. L’INAIL ha sviluppato una collana di “Quaderni tecnici per i cantieri temporanei o mobili” disponibili gratuitamente sul sito, che forniscono informazioni su obblighi di marcatura, scelta delle attrezzature, indicazioni per montaggio uso e smontaggio, riferimenti normativi.
La normativa tecnica UNI, pur non essendo giuridicamente obbligatoria, rappresenta comunque uno standard di riferimento importante. La UNI 11158 sui sistemi di ancoraggio permanenti per dispositivi anticaduta, la UNI EN 795 sui dispositivi di ancoraggio, la serie UNI EN 361-363-364-365-366 sui componenti dei sistemi anticaduta, forniscono le specifiche tecniche che i prodotti devono rispettare per essere considerati conformi allo stato dell’arte. Nel PSC è opportuno indicare che le attrezzature di protezione anticaduta devono essere conformi alle relative norme UNI EN, senza necessariamente entrare nel dettaglio di ciascuna norma.
Il coordinatore per la sicurezza, sia in fase di progettazione sia in fase di esecuzione, deve operare secondo un metodo che parta dall’identificazione dei rischi particolari presenti nel cantiere, prosegua con la valutazione approfondita di ciascuno secondo le fonti tecniche qualificate, continui con la prescrizione di misure preventive gerarchicamente ordinate, e si concluda con la documentazione motivata di tutto l’iter valutativo nel PSC. In caso di infortunio, essa costituisce l’elemento probatorio che dimostra l’adempimento diligente della posizione di garanzia.
La giurisprudenza ha ormai consolidato un’interpretazione severa ma coerente: chi accetta il ruolo di coordinatore assume una posizione di garanzia qualificata, deve possedere competenze specialistiche aggiornate, deve cooperare con tutti gli altri soggetti della sicurezza, deve vigilare sul rispetto formale delle procedure e sull’efficacia delle misure preventive. L’aggiornamento continuo obbligatorio è una necessità tecnica in un settore dove le normative evolvono rapidamente, le tecnologie costruttive si rinnovano, la giurisprudenza affina continuamente l’interpretazione delle regole cautelari.
Frequentare le aule di tribunale, studiare le sentenze, confrontarsi con avvocati e consulenti tecnici che operano in ambito penale fornisce una prospettiva complementare indispensabile a quella tecnica. Perché quando accade un evento grave, la differenza tra condanna e assoluzione può dipendere dalla capacità di dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevolmente necessarie per prevenirlo.
Il tirante d’aria è la distanza minima verticale necessaria per arrestare in sicurezza la caduta di un lavoratore. Si calcola sommando: l’altezza del lavoratore, la lunghezza del cordino con l’assorbitore di energia completamente attivato, e un margine di sicurezza di almeno un metro per evitare impatti con ostacoli sottostanti.
Perché è fondamentale il calcolo del tirante d’aria?
Un errore nel calcolo del tirante d’aria rende il sistema anticaduta inefficace. Se la distanza libera sotto il lavoratore è inferiore al tirante d’aria calcolato, il sistema non riuscirà ad arrestare la caduta prima dell’impatto con il suolo o con altre strutture. Il Piano di Sicurezza e Coordinamento deve contenere la verifica del tirante d’aria per ogni specifica configurazione di lavoro in quota, considerando i punti di ancoraggio disponibili e le traiettorie di caduta possibili. L’INAIL fornisce quaderni tecnici specifici sui sistemi anticaduta che illustrano dettagliatamente le metodologie di calcolo del tirante d’aria e l’analisi dell’effetto pendolo.
Il coordinatore per la progettazione deve prevedere nel PSC l’obbligo di armature di sostegno quando la consistenza del terreno non garantisce stabilità, come previsto dall’articolo 119 del decreto legislativo 81/2008. Deve inoltre includere nel PSC l’analisi del rischio di seppellimento e le relative misure preventive.
Misure preventive e di protezione per scavi profondi
Le misure da prevedere nel PSC includono: inclinazione delle pareti dello scavo in base alla natura del terreno (angolo del natural declivio), divieto di scavo manuale per scalzamento alla base in terreni instabili, divieto di presenza di operai nel raggio d’azione dell’escavatore, armature di sostegno con tavole sporgenti almeno 30 centimetri oltre il bordo dello scavo, sistemi di drenaggio per evitare accumuli d’acqua che possono compromettere la stabilità. Il coordinatore per l’esecuzione deve verificare che le prescrizioni del PSC siano applicate e che il Piano Operativo di Sicurezza dell’impresa preveda procedure dettagliate per il montaggio e lo smontaggio delle armature, nonché controlli giornalieri della stabilità dei fronti di scavo.
L’obbligo di redazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali (DUVRI) non si applica per lavori di durata non superiore a 5 uomini-giorno, a meno che questi lavori non comportino rischi particolari individuati nell’Allegato XI, rischio di incendio di livello elevato o presenza di agenti cancerogeni.
Esempi pratici di applicazione
Se un’impresa deve effettuare un intervento di manutenzione della durata di 4 uomini-giorno che richiede lavori in quota superiori a 2 metri (rischio particolare secondo Allegato XI) all’interno di un sito produttivo attivo, il datore di lavoro committente è comunque tenuto a redigere il DUVRI. Analogamente, un intervento breve che comporti l’uso di sostanze chimiche cancerogene o che si svolga in aree a rischio di esplosione richiede il DUVRI. Il coordinatore per la progettazione deve tenere conto di questa disposizione quando pianifica le attività e redige il PSC, assicurando il coordinamento tra PSC (che governa i rischi propri del cantiere) e DUVRI (che governa i rischi interferenziali con l’ambiente ospitante).
Per operare in ambienti confinati o sospetti di inquinamento, il decreto legislativo 81/2008 (articolo 66) e il DPR 177/2011 richiedono che le imprese siano qualificate, il personale specificamente formato e addestrato, e che vengano adottate procedure di sicurezza rigorose.
Procedure di sicurezza per ambienti confinati
Prima di ogni accesso è obbligatoria la verifica strumentale dell’atmosfera interna per accertare l’assenza di gas tossici o infiammabili e la presenza di un livello di ossigeno adeguato. Deve essere garantita una ventilazione forzata continua durante tutta la durata dei lavori. È richiesta la presenza costante di personale di sorveglianza all’esterno, che mantenga il contatto visivo o vocale con l’operatore interno e sia dotato di dispositivi di recupero per intervenire in caso di emergenza. La norma UNI 11988 definisce i requisiti di conoscenza, abilità e competenza per le figure professionali che operano in questi contesti, e l’INAIL ha pubblicato un foglio informativo dettagliato sulle procedure operative e di soccorso.
L’articolo 117 del decreto legislativo 81/2008 vieta l’esecuzione di lavori non elettrici in vicinanza di linee elettriche aeree a distanze inferiori ai limiti stabiliti, a meno che non venga adottata almeno una delle seguenti precauzioni: messa fuori tensione e in sicurezza delle parti attive, posizionamento di ostacoli rigidi che impediscano l’avvicinamento, mantenimento di persone e attrezzature a distanza di sicurezza non inferiore ai limiti dell’Allegato IX.
Ruolo del coordinatore nella gestione del rischio elettrico
Il coordinatore per la progettazione deve identificare nel PSC la presenza di linee elettriche aeree, analizzare il rischio di contatto diretto o di arco elettrico, e prescrivere le misure preventive. La priorità va data alla messa fuori tensione, da concordare preventivamente con il gestore della linea elettrica. Se non è possibile, il PSC deve definire le distanze di sicurezza da rispettare, prevedere l’installazione di barriere fisiche (ponteggi di protezione, reti), e indicare nel layout di cantiere percorsi sicuri per i mezzi d’opera (gru, autopompe, escavatori) che evitino traiettorie di collisione con i conduttori. Il quaderno tecnico INAIL sui lavori in prossimità di linee elettriche e le norme CEI forniscono riferimenti tecnici dettagliati per la classificazione delle zone a rischio e la scelta delle misure di prevenzione.
La valutazione del rischio di esplosione da ordigni bellici, richiesta dall’Allegato XV punto 2.2.3, si basa sull’analisi storica del sito e sulla tipologia degli scavi previsti. Il coordinatore per la progettazione deve raccogliere informazioni sulla storia del luogo: se è stato teatro di operazioni belliche, se erano presenti depositi militari, se sono documentati precedenti rinvenimenti.
Procedure da inserire nel PSC
Se l’analisi storica indica un rischio non trascurabile, il PSC deve prescrivere una bonifica bellica preventiva con indagini strumentali da parte di imprese specializzate prima dell’inizio degli scavi. In ogni caso, il PSC deve definire una procedura di emergenza che includa: sospensione immediata dei lavori al primo sospetto di rinvenimento, evacuazione e perimetrazione dell’area, catena di allertamento alle autorità competenti (Prefettura, Carabinieri). Nel cronoprogramma, le fasi di scavo in aree a rischio devono essere segregate temporalmente da altre lavorazioni per limitare il numero di persone esposte in caso di emergenza. La valutazione di questo rischio particolare è un obbligo del coordinatore e non può essere delegata all’impresa esecutrice.







