L’approccio tradizionale al time management, focalizzato su tecniche e strumenti organizzativi, si rivela spesso insufficiente se non accompagnato da una dimensione più profonda: il self management, ovvero la capacità di gestire se stessi. Il percorso proposto dal dottor Giorgio Cozzi, psicologo e coach, offre strumenti pratici per incrementare l’eccellenza attraverso la consapevolezza, la pianificazione intelligente e la capacità di distinguere ciò che conta davvero da ciò che disperde energie senza produrre valore.

Il tempo come risorsa preziosa e irrecuperabile

Immaginare di ricevere ogni giorno 86.400 euro sul conto bancario con l’unica condizione di spenderli o perderli offre una metafora potente per comprendere il valore del tempo. Questi 86.400 secondi quotidiani rappresentano una ricchezza immensa che, una volta perduta, non può essere recuperata. A differenza del denaro, il tempo speso è speso definitivamente, senza possibilità di ritorno. Questa consapevolezza dovrebbe guidare ogni scelta professionale, evitando la dispersione e concentrando le energie su ciò che produce risultati concreti.

La distribuzione delle 24 ore giornaliere richiede equilibrio tra lavoro, cura di sé, riposo, relazioni sociali, svago e studio. Il modello teorico 8-8-8 (otto ore per ciascuna macro-area) rappresenta un’indicazione di massima che ciascun professionista deve calibrare sulla propria realtà, ma il principio sottostante rimane valido: lavorare 12-14 ore al giorno senza recupero porta inevitabilmente a inefficienza, stress e burnout. I fattori che fanno perdere tempo lavorativamente sono molteplici e ricorrenti: telefonate inutili, collaboratori che richiedono supervisione continua, comunicazioni inefficaci, clienti che pretendono risposte immediate, interruzioni costanti. La gestione consapevole di questi fattori richiede difese attive: saper dire di no, creare spazi protetti, negoziare priorità, stabilire paletti con clienti e fornitori. Anche l’ossessione per la perfezione assoluta rappresenta un rischio per gli architetti, che operano in un campo dove l’estetica e la cura del dettaglio sono valori fondanti. Tuttavia, non tutti i progetti richiedono lo stesso livello di approfondimento: saper dosare l’investimento di tempo e energia in funzione dell’importanza strategica di ciascun progetto costituisce una competenza gestionale essenziale.

Tra pianificazione e flessibilità: trovare il giusto mix

Il tempo della progettazione non è lineare ma sinusoidale: capita di bloccarsi su un elemento, di non essere soddisfatti, di dover ricominciare. Questa natura del processo creativo rende ancora più importante la pianificazione con margini di flessibilità, anticipando possibili blocchi e prevedendo alternative. La consapevolezza della non linearità del processo creativo permette di gestirla anziché subirla.

Il dilemma fondamentale della gestione del tempo si colloca tra due poli apparentemente opposti: pianificazione totale o libertà completa. La pianificazione minuto per minuto delle attività dalle 8.30 alle 18.30 garantisce efficienza teorica ma azzera la flessibilità necessaria per gestire imprevisti, emergenze creative e opportunità inattese. L’assenza totale di pianificazione, al contrario, porta alla dispersione e all’inefficacia, lasciando che siano le urgenze altrui a dettare l’agenda professionale. Il segreto risiede nel mix intelligente tra i due approcci: pianificazione delle attività strutturanti (gli appuntamenti fissi, i must della giornata, i compiti con scadenza definita) e flessibilità per gestire l’imprevisto e dedicarsi alla riflessione creativa che ogni progetto architettonico richiede.

Una tecnica efficace consiste nel prendersi una giornata di “ferie operative” quando il magazzino delle cose da fare diventa troppo pieno: una giornata dedicata esclusivamente a smaltire arretrati, difendendo questo spazio da interruzioni e richieste. La metafora del secchio e dei sassi illustra perfettamente il principio della prioritizzazione: in un secchio si possono inserire sassi grossi (attività importanti e urgenti), sassi medi (attività intermedie) e ghiaia (piccole incombenze). L’ordine di inserimento è cruciale: se si parte dalla ghiaia, i sassi grossi non entreranno più. Il principio fondamentale richiede di affrontare per prime le attività più consistenti e importanti, lasciando le piccole incombenze per gli interstizi temporali che si liberano naturalmente. Questo approccio, pur essendo teoricamente condiviso da tutti, risulta difficilissimo da applicare nella pratica quotidiana caratterizzata da interferenze continue.

La matrice di Eisenhower: urgente vs importante

La matrice di Eisenhower costituisce uno strumento universalmente riconosciuto per classificare le attività secondo due assi: importanza e urgenza. Le quattro combinazioni producono indicazioni operative precise che, se applicate con consapevolezza, trasformano radicalmente l’efficacia professionale.
Le attività importanti e urgenti richiedono azione immediata e coinvolgimento personale diretto: non possono essere delegate, rimandate o evitate. Rappresentano il nucleo operativo che ogni professionista deve presidiare personalmente, dedicando le energie migliori e la massima concentrazione. Le attività importanti ma non urgenti richiedono pianificazione: la to-do list diventa lo strumento principe per assicurare che queste attività non vengano dimenticate o continuamente rimandate fino a quando diventano urgenti, generando stress e inefficienza. Le attività non importanti ma urgenti dovrebbero essere delegate quando possibile, oppure messe in coda con la consapevolezza che rappresentano interruzioni da gestire con distacco. Le attività non importanti e non urgenti andrebbero evitate completamente, ma la loro eliminazione richiede consapevolezza: saper riconoscere che una determinata richiesta non merita tempo ed energia rappresenta un atto di intelligenza gestionale che protegge le risorse per ciò che conta davvero.
Il principio della consapevolezza emerge continuamente: qualunque scelta si compia, se è consapevole è legittima. Dopo si potrà verificare se ha funzionato o meno, correggendo il processo, ma l’importante è sapere perché si sta facendo una determinata cosa in un determinato momento. Questa consapevolezza trasforma la gestione del tempo da subita a governata.

La legge di Pareto applicata al lavoro progettuale

La legge di Pareto stabilisce che il 20% delle attività genera l’80% dei risultati, mentre l’80% delle attività produce solo il 20% dei risultati. Applicata al lavoro architettonico, questa legge evidenzia l’importanza di identificare e presidiare le attività ad alto impatto, quelle che realmente costruiscono valore, reputazione, soddisfazione del cliente e redditività dello studio.

Le attività del 20% includono tipicamente: progettazione creativa nei momenti di massima lucidità mentale, relazione qualitativa con i clienti chiave, coordinamento strategico con i collaboratori, formazione continua su temi rilevanti, cura delle relazioni professionali che generano opportunità. Le attività dell’80% comprendono invece: risposte a richieste non urgenti, partecipazione a riunioni poco produttive, gestione di email secondarie, attività amministrative ripetitive. L’applicazione consapevole di questo principio richiede onestà intellettuale nel riconoscere quali attività appartengono realmente al 20% ad alto impatto. Spesso le urgenze altrui, che urlano più forte, si impadroniscono dell’agenda sottraendo tempo alle attività strategiche che non urlano ma costruiscono. La capacità di mantenere il focus sulle attività strategiche difendendole dalle interruzioni costituisce una competenza distintiva dei professionisti eccellenti.

Tecniche operative: pomodoro, agenda strutturata e ordine

La tecnica del pomodoro propone di suddividere il tempo lavorativo in blocchi di 55 minuti di concentrazione intensa seguiti da 5 minuti di pausa. Questo ritmo rispetta il funzionamento neurologico del cervello: investire energia continua senza interruzioni porta affaticamento e perdita di lucidità. Le pause brevi permettono di rigenerare l’attenzione, liberare la mente, passare brevemente ad altre attività leggere prima di riprendere il lavoro principale con rinnovata energia. Lavorare meno ore ma con maggiore concentrazione produce risultati superiori rispetto a molte ore di lavoro dispersivo e poco focalizzato. Questo principio richiede disciplina e autodifesa: creare spazi protetti, chiudere la porta, spegnere il telefono, andare in luoghi dove non si può essere interrotti.

L’agenda strutturata prevede la distinzione tra: appuntamenti fissi (con ora precisa e durata definita), compiti must (da fare durante la giornata nel momento più opportuno), appuntamenti semifissi (prendo appuntamento con me stesso per fare una determinata attività) e compiti should/could (se possibile li imbuco, altrimenti rimangono in lista). Questa strutturazione crea un equilibrio tra vincoli e flessibilità, assicurando che le priorità vengano presidiate senza irrigidire eccessivamente la giornata.

Il mito del multitasking e il valore della concentrazione

Il multitasking rappresenta un mito che va sfatato: dal punto di vista neurologico, il cervello non è in grado di svolgere contemporaneamente due attività complesse che richiedono attenzione consapevole. La percezione di fare quattro cose contemporaneamente è illusoria: in realtà la mente si sposta rapidamente da un’attività all’altra, perdendo concentrazione e dovendo recuperarla ogni volta. La focalizzazione su una singola attività produce risultati di qualità superiore in tempi inferiori rispetto al continuo saltare tra attività diverse. Quando la concentrazione viene interrotta, occorre tempo per recuperarla: il costo cognitivo delle interruzioni è molto più alto di quanto comunemente percepito.
Le tecniche di memoria e le pratiche di riflessione consapevole supportano la concentrazione e la qualità del lavoro. Dedicare tempo al pensiero, alla meditazione progettuale, all’approfondimento riflessivo rappresenta un investimento che nell’epoca dell’intelligenza artificiale rischia di essere trascurato. La capacità distintiva dell’architetto risiede nella creatività, nella visione, nella sintesi culturale: competenze che richiedono spazi mentali protetti e tempo dedicato.

Il modello GROW: obiettivi, realtà, alternative, volontà

Il modello GROW (Goal, Reality, Options, Will) rappresenta un framework universale per affrontare qualsiasi sfida di miglioramento, applicabile alla gestione del tempo con risultati significativi. La prima domanda fondamentale riguarda l’obiettivo: cosa si vuole realmente ottenere da una migliore gestione del tempo? La seconda dimensione analizza la realtà attuale: come funzionano davvero le cose oggi nella gestione del tempo?

Le testimonianze evidenziano situazioni diversificate: chi riesce a gestire abbastanza bene il tempo attraverso liste e priorità, ma vive in uno stato perenne di impegno totale senza mai un minuto libero; chi invece vive in costante stato di allerta dovendo rispondere continuamente a urgenze, nonostante gli sforzi di organizzazione. La realtà si presenta complessa, con costi personali significativi anche quando l’efficienza operativa sembra accettabile. Le opzioni per migliorare includono: maggiore organizzazione nella gestione delle risorse personali e dei collaboratori, programmazione accurata per prevedere e limitare gli imprevisti, comunicazione efficace con paletti chiari verso clienti e fornitori, delega appropriata, educazione del cliente a non pretendere risposte immediate, definizione di spazi di lavoro protetti dove non si è reperibili. La volontà di cambiare richiede motivazione concreta: avere un motto che ricordi gli obiettivi, confrontarsi e condividere con i colleghi per motivarsi reciprocamente, celebrare i traguardi raggiunti riconoscendo i progressi.

Il ciclo PDCA: pianificare, fare, verificare, agire

Il modello PDCA (Plan, Do, Check, Act) rappresenta un framework universale nel mondo della qualità applicabile alla gestione del tempo. Pianificare in funzione degli obiettivi, mettere in pratica quanto pianificato, verificare i risultati e correggere dove necessario, applicare sistematicamente le azioni che funzionano: questo ciclo virtuoso trasforma la gestione del tempo da attività occasionale a processo continuo di miglioramento. L’integrazione tra time management (gestione del tempo esterno) e self management (gestione di sé) costituisce la vera chiave del successo. Meglio essere pianificati, organizzati, consapevoli e orientati, trasformandosi in professionisti self-driven, guidati dai propri obiettivi e priorità piuttosto che dalle urgenze e richieste altrui. Questo richiede vocazione ai principi, fedeltà ai propri valori, capacità di dire no quando necessario, difesa attiva dei propri spazi di concentrazione.

L’action plan finale chiede a ciascun professionista di identificare le azioni concrete che adotterà: quali tecniche sperimenterà, quali comportamenti modificherà, quali strumenti implementerà. Senza azione concreta, anche la migliore formazione rimane teoria sterile. Il valore si crea quando si passa dalla consapevolezza all’azione, trasformando i principi in pratiche quotidiane consolidate.

Il time management si concentra sulla gestione del tempo esterno attraverso tecniche, strumenti e pianificazione delle attività. Il self management riguarda invece la gestione di sé: consapevolezza dei propri obiettivi, capacità di stabilire priorità coerenti con i valori personali, disciplina nell’applicare i principi, autodifesa dagli stimoli dispersivi. Il tempo è una dimensione esterna; noi siamo dentro di noi. Quel che conta è cosa succede nel passaggio tra i due mondi. Un professionista può pianificare perfettamente ma se non ha chiarezza sui propri obiettivi e consapevolezza del proprio stato, la pianificazione risulta inefficace. Self management significa essere self-driven, guidati da se stessi piuttosto che dalle urgenze altrui.

Le attività importanti e urgenti vanno affrontate immediatamente con coinvolgimento personale diretto. Le importanti non urgenti richiedono pianificazione attraverso to-do list con scadenze definite, evitando che diventino urgenti. Le non importanti ma urgenti andrebbero delegate quando possibile, o messe in coda consapevolmente. Le non importanti non urgenti vanno eliminate, ma questo richiede coraggio di dire no. L’applicazione richiede revisione giornaliera: 5 minuti prima di chiudere la giornata o 5 minuti prima di iniziare per classificare le attività e decidere consapevolmente dove investire energie. Il segreto è la consapevolezza: sapere perché si fa una cosa legittima qualsiasi scelta.

La tecnica del pomodoro (55 minuti di concentrazione + 5 minuti di pausa) rispetta il funzionamento neurologico: il cervello investe energia massima ma si affatica. Le pause brevi permettono rigenerazione senza perdere il focus. Per attività creative come la progettazione, i blocchi possono essere adattati (es. 90 minuti + 10 minuti) ma il principio resta valido: pause programmate aumentano la lucidità complessiva. Le pause non sono tempo perso ma investimento in qualità: spesso le intuizioni progettuali arrivano proprio nei momenti di distacco, quando la mente elabora in background. Lavorare 7 ore concentrate vale più di 11 ore disperse.

La gestione richiede negoziazione preventiva e difesa attiva degli spazi protetti. Con i clienti: educarli a non pretendere risposte immediate, stabilire fasce orarie di disponibilità e fasce protette, comunicare chiaramente quando si è in “red time” (tempo rosso, interruzioni vietate). Con i collaboratori: renderli più autonomi evitando di intervenire a ogni minimo dubbio (che genera dipendenza), delegare responsabilità, creare momenti strutturati di confronto piuttosto che interruzioni casuali. Tecniche pratiche: chiudere la porta, spegnere notifiche, lavorare in luoghi isolati per attività critiche, prendere “appuntamenti con se stessi” difendendoli come appuntamenti con clienti strategici.

La consapevolezza del proprio stato psicofisico rappresenta il prerequisito per qualsiasi gestione efficace del tempo. I segnali di sovraccarico includono: affaticamento cronico nonostante il sonno, irritabilità crescente nelle relazioni con clienti e collaboratori, difficoltà di concentrazione anche su progetti semplici, perdita di entusiasmo, sensazione di essere costantemente in stato di allerta. Quando questi sintomi si manifestano, la soluzione è fermarsi consapevolmente: fare una passeggiata, cambiare completamente attività per rigenerare le energie mentali. La rigenerazione non è tempo perso ma investimento strategico: un professionista rigenerato produce risultati migliori in meno tempo rispetto a uno esaurito che moltiplica le ore impegnate senza qualità effettiva. Il tempo della progettazione architettonica, essendo sinusoidale e non lineare, richiede spazi mentali liberi dove le intuizioni creative possano emergere, cosa impossibile in stato di sovraccarico permanente.

La to-do list è assolutamente indispensabile: scrivere le attività, non affidarsi alla memoria. Aggiornarla costantemente, cancellarla visibilmente quando completata (gratificazione), assegnare priorità e scadenze. L’agenda strutturata prevede: appuntamenti fissi (ora precisa + durata), compiti must (da fare durante la giornata), appuntamenti semifissi (prendo appuntamento con me stesso per attività specifiche), compiti should/could (se c’è tempo). L’ordine fisico e mentale: un posto per ogni cosa facilita recupero rapido delle informazioni. Red time e green time: distinguere quando non si vuole essere interrotti da quando piccole interruzioni sono accettabili. Feedback e follow-up: verificare sempre e dare seguito agli accordi presi.


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