Questo gas radioattivo, inodore e incolore, si origina naturalmente dal sottosuolo e può accumularsi in quantità pericolose all’interno degli edifici, soprattutto in ambienti chiusi e poco ventilati come cantine, seminterrati e piani bassi. La sua concentrazione può variare notevolmente in base alle caratteristiche geologiche del terreno su cui l’edificio è costruito e alla tipologia costruttiva dell’edificio stesso.
A differenza di altri inquinanti, il radon non può essere percepito dai sensi umani. Questo elemento naturale, più pesante dell’aria, si rivela particolarmente insidioso per due ragioni principali: da un lato emette radiazioni alfa dannose per l’organismo, dall’altro decade in piombo, che viene assimilato dai polmoni creando un doppio rischio per la salute.
La sua pericolosità risiede nel fatto che è uno dei principali fattori di rischio per il tumore ai polmoni, al secondo posto solo dopo il fumo di sigaretta. In particolare, la combinazione tra esposizione a radon e fumo di tabacco aumenta significativamente il rischio di sviluppare patologie polmonari. Per questo motivo, la progettazione di edifici sicuri dal punto di vista sanitario deve necessariamente includere la valutazione e la gestione del rischio radon.
Come entra il radon negli edifici
Il radon si comporta come un gas “pigro”: tende a seguire i percorsi di minor resistenza, infiltrandosi attraverso fessure, crepe nelle fondamenta, giunti di dilatazione e altre aperture nel pavimento o nelle pareti. Una volta all’interno, tende ad accumularsi in aree con scarsa ventilazione, come interrati e locali tecnici. Sebbene sia più concentrato nei piani interrati e seminterrati, può risalire anche ai piani superiori attraverso l’effetto camino nei vani scala o attraverso le tubazioni degli impianti. Particolarmente interessante è il caso degli edifici storici con muri spessi, dove il gas può muoversi per capillarità attraverso le murature stesse.
Dal punto di vista geologico, il radon predilige terreni porosi, calcarei, rocciosi e vulcanici, mentre trova maggiore resistenza nei terreni sedimentari e argillosi. Tuttavia, sarebbe un errore affidarsi solo alle mappe di rischio. Anche in zone classificate a basso rischio possono esistere punti localizzati con alte concentrazioni di radon, specialmente quando si interviene sul terreno con scavi o fondazioni.
La prevenzione primaria ambientale diventa quindi una responsabilità cruciale per i progettisti. Non si tratta solo di rispettare normative, ma di comprendere che stiamo progettando “macchine di prevenzione” che influenzeranno la salute degli occupanti per decenni.
Gli edifici a basso consumo energetico, come quelli certificati nZEB (Nearly Zero Energy Building), rappresentano un caso particolare. Questi edifici, caratterizzati da un involucro fortemente sigillato e coibentato, possono trasformarsi in veri e propri “acquari” dove gli inquinanti, radon compreso, tendono a ristagnare. È un paradosso interessante: mentre gli edifici degli anni ’70, con i loro spifferi, permettevano un ricambio d’aria naturale, le moderne costruzioni richiedono una progettazione attenta della ventilazione. Per questo motivo, è essenziale che gli edifici nZEB siano progettati con sistemi di ventilazione meccanica controllata (VMC) ben dimensionati e integrati, in grado di garantire un costante ricambio d’aria senza compromettere l’efficienza energetica.
La ventilazione meccanica controllata (VMC) gioca un ruolo importante, ma non risolutivo. È più corretto considerarla come uno strumento di prevenzione piuttosto che di bonifica. Per un approccio efficace, la VMC deve essere integrata in una strategia più ampia che consideri molteplici aspetti progettuali.
La sfida degli edifici storici
Un’altra categoria di edifici particolarmente vulnerabile al gas radon è quella degli edifici storici. Le costruzioni antiche, spesso caratterizzate da murature spesse e materiali edili non più utilizzati nei moderni cantieri, possono presentare vie di ingresso del radon meno evidenti ma non per questo meno pericolose. In questi edifici, il gas può muoversi per capillarità attraverso le murature stesse, rendendo le tecniche tradizionali di bonifica inefficaci. La riqualificazione di edifici storici, quindi, richiede un approccio progettuale specifico, in cui l’analisi dei materiali e delle strutture esistenti diventa fondamentale. In questi casi, oltre a un sistema di ventilazione adeguato, potrebbe essere necessario intervenire sulle fondazioni o installare barriere anti-radon per prevenire l’ingresso del gas dai terreni sottostanti.
Gli interventi di prevenzione e mitigazione
La prima fase di qualsiasi intervento di progettazione o riqualificazione che tiene conto del rischio radon è l’analisi preliminare del sito. È importante effettuare un monitoraggio dei livelli di radon già presenti nell’edificio o, in caso di nuova costruzione, valutare il rischio geologico dell’area. Alcuni tipi di terreno, come quelli porosi o vulcanici, sono più propensi a rilasciare grandi quantità di radon, mentre i terreni argillosi rappresentano una barriera naturale più efficace.
Una volta determinato il livello di rischio, si interviene con soluzioni specifiche. Nei nuovi edifici, è possibile installare barriere sotto il pavimento per impedire l’ingresso del radon o progettare sistemi di ventilazione che aspirano il gas dal sottosuolo e lo rilasciano all’esterno prima che possa entrare nell’edificio. Negli edifici esistenti, invece, la soluzione più comune è l’installazione di un sistema di ventilazione meccanica controllata (VMC), che garantisca un ricambio d’aria continuo e riduca il rischio di accumulo. Tuttavia, è importante ricordare che la VMC, da sola, non è sufficiente per risolvere del tutto il problema: deve essere integrata con altre misure, come la sigillatura delle fessure nelle fondamenta e l’eventuale ventilazione del vespaio.
Monitoraggio e manutenzione
Un intervento di mitigazione del radon non è mai definitivo. Anche dopo aver installato i sistemi di prevenzione, è fondamentale monitorare periodicamente i livelli di radon all’interno dell’edificio, soprattutto nei locali più a rischio. Il monitoraggio continuo permette di verificare l’efficacia delle soluzioni adottate e di intervenire tempestivamente in caso di variazioni significative nei livelli di gas. Inoltre, gli impianti di ventilazione devono essere regolarmente manutenuti per garantire che continuino a funzionare correttamente nel tempo.
La gestione del rischio radon è una responsabilità fondamentale per gli architetti che progettano edifici sicuri e salubri. Da un lato è necessario garantire l’efficienza energetica richiesta dalle normative europee, dall’altro assicurare che questi edifici altamente performanti non diventino trappole per inquinanti. Che si tratti di nuove costruzioni ad alta efficienza energetica o della riqualificazione di edifici storici, è essenziale adottare un approccio progettuale integrato che tenga conto delle caratteristiche dell’edificio, del contesto geologico e delle tecnologie disponibili. Solo così è possibile garantire la salute degli occupanti e rispettare le normative vigenti in materia di inquinamento indoor.
Il radon è un gas radioattivo naturale, incolore e inodore, che si forma dal decadimento dell’uranio presente nel suolo e nelle rocce. È pericoloso perché, una volta inalato, può decadere in metalli pesanti come il piombo e liberare radiazioni alfa, aumentando il rischio di patologie cronico-degenerative, in particolare tumori polmonari. Il rischio è maggiore in ambienti chiusi e ben isolati, dove il gas può accumularsi senza essere disperso.
Il radon si trova soprattutto nei terreni vulcanici, calcarei, porosi e rocciosi, ma può essere presente ovunque. Gli edifici più a rischio sono quelli con ambienti interrati, seminterrati o a piano terra, specie se costruiti in zone ad alta permeabilità del suolo o con materiali come tufo e granito. Anche le vecchie costruzioni con murature spesse o materiali di origine vulcanica possono favorire l’accumulo di radon.
La concentrazione di radon si misura in Becquerel per metro cubo (Bq/m³) tramite rilevatori a traccia, dispositivi a carbone attivo o sistemi elettronici. La normativa europea (Direttiva Euratom 59/2013) e italiana prevede un limite massimo di 300 Bq/m³ per gli ambienti indoor. Per i materiali da costruzione, il limite è di 200 Bq/m³. Le misurazioni devono essere effettuate su periodi prolungati (almeno 6 mesi) per garantire risultati affidabili.
Le principali strategie includono:
– Predisporre sistemi di ventilazione meccanica controllata (VMC) in leggera sovrappressione per favorire il ricambio d’aria e ridurre la pressione interna.
– Utilizzare barriere anti-radon come membrane in polietilene o materiali certificati (es. vetro cellulare) sotto le fondazioni.
– Installare pozzetti anti-radon o vespai aerati con sistemi di aspirazione meccanica per estrarre il gas dal sottosuolo.
– Impiegare additivi compattanti nei calcestruzzi per ridurre la porosità e la permeabilità ai gas.
– In caso di ristrutturazione, compartimentare locali interrati e prevedere sistemi di aspirazione localizzata.
Sì, alcuni materiali da costruzione, in particolare quelli di origine vulcanica come tufo, granito e sienite, possono emettere radon. È importante selezionare materiali certificati e sottoporre i campioni a test di emissività. Il protocollo BioSafe, ad esempio, prevede la certificazione dei materiali in base alla loro capacità di non superare i limiti di emissione di radon e altre radiazioni, garantendo così la salubrità degli ambienti costruiti.