Tra i numerosi premi ottenuti, spiccano tre Compasso d’Oro e tredici Red Dot Design Award, testimonianze di una carriera ricca di innovazione e successo. Ma ciò che rende unico il loro approccio è la capacità di coniugare narrazione, tecnologia e identità culturale, come dimostrato dal concetto di “Museum Seed”.

Museum Seed: un nuovo modello di museo

Nel futuro degli spazi culturali immaginati da Ico Migliore e Mara Servetto, l’architettura non è solo un contenitore per le opere d’arte, ma un vero e proprio strumento di narrazione, capace di coinvolgere il pubblico in un’esperienza unica e arricchente. Il concetto di “Museum Seed”, presentato nel loro omonimo libro, nasce da una riflessione profonda sul ruolo che i musei devono ricoprire nella società contemporanea. Non più luoghi statici e isolati, ma organismi vivi, capaci di dialogare con il territorio e le persone, generando consapevolezza e arricchimento culturale. Secondo Migliore e Servetto, l’essenza del museo non si esaurisce nella collezione di oggetti esposti, ma si sviluppa attraverso l’esperienza e l’interazione con i visitatori. Questo concetto è stato elaborato in otto punti fondamentali, che rappresentano una sorta di manifesto per il futuro dei luoghi culturali.

In un’epoca in cui la tecnologia spesso rischia di sopraffare il contenuto, lo Studio insiste su un equilibrio tra innovazione e narrazione tradizionale: la tecnologia, pur presente, non deve mai prevalere sulla storia che il museo racconta.

Come affermano gli stessi architetti, il museo non deve diventare né un distaccato “museo chiodo”, né un caotico “museo Luna Park”, ma trovare una via intermedia che valorizzi sia il patrimonio culturale sia l’esperienza del visitatore.

Progetti emblematici: dal Giappone a Varsavia

Tra i numerosi progetti che hanno segnato la carriera dello Studio, spiccano due esempi particolarmente significativi: la mostra su Krizia al MOT di Tokyo (2001) e il Museo Chopin di Varsavia (2010).

Realizzata in collaborazione con la costumista premio Oscar Gabriella Pescucci, l’esposizione su Krizia ha rappresentato l’incontro tra moda, cinema e architettura, creando un allestimento dal forte impatto teatrale. Questo progetto ha introdotto una nuova modalità di raccontare la moda attraverso lo spazio, non come semplice esposizione di abiti, ma come rappresentazione scenica, in cui la narrazione e la creatività si fondono.

Il Museo Chopin di Varsavia, invece, è stato un progetto che ha portato lo Studio a riflettere su come raccontare la vita e l’opera di un grande compositore attraverso una narrazione frammentata in micro-storie tematiche. Piuttosto che seguire un percorso cronologico, il museo guida il visitatore attraverso episodi significativi della vita di Chopin, come il suo rapporto con le donne, la sua attività didattica o il suo soggiorno a Parigi. L’allestimento ha integrato tecnologie innovative senza che queste prevalessero sulla narrazione: spartiti digitali, suoni ambientali e proiezioni creano un’interazione fluida tra il visitatore e l’ambiente, mantenendo sempre il focus sulla storia.

Un altro aspetto fondamentale del progetto del Museo Chopin è l’uso della tecnologia per rendere l’esperienza museale accessibile a diversi tipi di pubblico.

Il museo è stato infatti progettato per essere fruibile in otto lingue e con quattro livelli di approfondimento, pensati per musicisti, musicologi, esperti e giovani visitatori.

Un badge interattivo consente di attivare contenuti personalizzati, offrendo un’esperienza su misura per ogni visitatore, senza però cadere nell’effetto “Luna Park” delle installazioni tecnologiche preponderanti.

La responsabilità sociale del design

Il lavoro dello Studio Migliore+Servetto non si limita all’aspetto estetico o funzionale degli spazi culturali. Come sottolineato da Ico Migliore, il design deve assumere una responsabilità sociale, poiché la cultura è un elemento imprescindibile per la democrazia, la consapevolezza e la condivisione.

Il progetto di un museo, di uno spazio culturale, non può essere ridotto a un semplice esercizio stilistico: deve essere un atto di partecipazione e dialogo con il pubblico, capace di far emergere una nuova consapevolezza.

Lo Studio Migliore+Servetto ha saputo ridefinire il concetto di spazio culturale, proponendo una visione innovativa e dinamica del museo come luogo di dialogo, esperienza e consapevolezza. Il loro lavoro, che si colloca a metà strada tra innovazione tecnologica e rispetto per la narrazione tradizionale, rappresenta un punto di riferimento per chiunque si occupi di progettazione culturale.

Lo studio adotta una filosofia che mette al centro la responsabilità del design nei luoghi della cultura, puntando su narrazione, identità e coinvolgimento attivo del visitatore. I progetti mirano a superare la dicotomia tra museo “Chiodo” (statico, didascalico) e museo “Luna Park” (puramente esperienziale), cercando un equilibrio tra innovazione tecnologica e profondità narrativa, affinché il museo diventi un “seme” che germina sul territorio e nella comunità.

La tecnologia è vista come uno strumento per ampliare la narrazione e l’esperienza, non come fine a sé stessa. Viene integrata in modo “aumentato” e multisensoriale, per coinvolgere i visitatori su più livelli percettivi. Ad esempio, nel Museo Chopin di Varsavia, la tecnologia permette di ascoltare musica, interagire con oggetti e vivere micro-storie, garantendo accessibilità e personalizzazione del percorso per diverse tipologie di pubblico.

L’identità viene costruita attraverso un approccio integrato che coinvolge architettura, grafica, luce e narrazione. La progettazione di loghi e segni grafici, come per il Museo Egizio di Torino o il Castello di Miramare, nasce da un’analisi profonda del luogo, della sua memoria e delle sue peculiarità, per creare simboli capaci di rappresentare e raccontare la storia e i valori dell’istituzione in modo riconoscibile e versatile.

Lo studio promuove il concetto di “urban nesting”, ovvero l’integrazione tra luogo culturale e contesto urbano. Gli interventi, come l’allestimento urbano per le Olimpiadi di Torino o il waterfront di Busan, sono pensati per raccontare storie, creare identità e favorire l’uso collettivo degli spazi pubblici. L’obiettivo è trasformare criticità in opportunità, rendendo la città stessa un museo a cielo aperto e un luogo di incontro e trasformazione per la comunità.

La selezione dei progetti si basa su criteri etici e sulla possibilità di andare “oltre” le richieste della committenza. Non esistono progetti “minori” o “maggiori”: ogni intervento, dalla strada dipinta a Busan fino all’università a Tokyo, viene affrontato con la stessa attenzione e rispetto. Lo studio rifiuta incarichi che non rispondono ai propri valori o che non consentono di apportare un reale contributo culturale e sociale.


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