Ogni infortunio grave interroga profondamente sull’efficacia dell’impianto prevenzionistico: perché, nonostante decenni di normativa, obbligo di aggiornamento professionale continuo e un sistema sanzionatorio di natura penale, gli eventi dannosi continuano ad accadere con frequenza che non accenna a diminuire? La risposta risiede nella comprensione non solo delle regole tecniche ma anche di quei principi fondamentali che rappresentano il “vangelo” attraverso cui i giudici leggono le condotte professionali.

Il percorso formativo proposto dal Centro Studi Tecnojus, che coniuga dimensione tecnica e dimensione giuridica, si colloca proprio in quell’area di confine dove la competenza professionale deve confrontarsi con l’interpretazione normativa e giurisprudenziale. Il “giuridico pensiero”, ovvero la capacità di comprendere come magistrati e operatori del diritto valutano le condotte tecniche, rappresenta oggi un elemento imprescindibile per chi opera nella sicurezza.

Le misure generali di tutela: i comandamenti della prevenzione

Le misure generali di tutela, contenute nell’articolo 15 del decreto legislativo 81/2008 e nell’articolo 95 per i cantieri temporanei o mobili, rappresentano una sorta di decalogo attraverso cui viene letta la condotta dei soggetti in posizione di garanzia. Derivano dalla direttiva madre 391/1989/CEE, dove non sono chiamate misure ma principi fondamentali, e costituiscono lo strumento concettuale che gli operatori del diritto utilizzano per interpretare tutti gli altri obblighi specifici previsti dalla normativa.

La prima misura stabilisce l’obbligo di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza. Questa formulazione differisce significativamente dalla direttiva madre che prescriveva di “evitare i rischi”. Quando si verifica un infortunio gravissimo, la prima valutazione del giudice riguarda proprio se i pericoli e i rischi erano evitabili: se potevo evitare il pericolo non dovevo procedere alla valutazione dei rischi, perché eliminando la fonte avrei risolto il problema.

La programmazione della prevenzione deve mirare a un complesso coerente che integri la tecnica, l’organizzazione, le condizioni di lavoro, le relazioni sociali e l’influenza dei fattori dell’ambiente lavorativo. Questo principio ribalta l’approccio tradizionale: prima si lavora in prevenzione, successivamente ci si occupa eventualmente di protezione.

Il principio ergonomico: adeguare il lavoro all’uomo

Il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro e nella scelta delle attrezzature costituisce un principio fondamentale spesso sottovalutato. Adeguare il lavoro all’uomo e non l’uomo al lavoro significa che non si può prendere un lavoratore, armarlo di dispositivi di protezione individuale e mandarlo allo sbaraglio. Come si traduce concretamente questo principio? Attraverso la priorità delle misure preventive rispetto a quelle protettive, e quando si deve ricorrere alle protezioni dando priorità a quelle collettive rispetto a quelle individuali. Per i coordinatori della sicurezza questo principio assume rilevanza particolare nella verifica dell’idoneità del Piano Operativo di Sicurezza (POS), obbligo previsto dall’articolo 92. I soggetti devono cooperare e il coordinatore deve coordinare, e il principio che nell’ambito della sicurezza si potrebbe definire “fatti gli affari tuoi” deve trasformarsi nel suo opposto. Dobbiamo occuparci anche degli affari degli altri, verificare che anche il datore di lavoro rispetti i principi che non possiamo ignorare sostenendo che sono aspetti che riguardano solo lui.

Sostituire ciò che è pericoloso con ciò che è meno pericoloso

Sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o che è meno pericoloso, rappresenta un altro principio cardine. Nella pratica significa operare scelte sui materiali da costruzione, sulle tecniche costruttive, sulle attrezzature di lavoro. La scelta dell’ubicazione dei posti di lavoro, le condizioni di movimentazione dei materiali, la manutenzione e il controllo periodico degli apprestamenti, delle attrezzature e dei mezzi di lavoro costituiscono ulteriori misure generali, perché un cantiere in ordine è un cantiere meno pericoloso.

Per i coordinatori della sicurezza, l’adeguamento in funzione dell’evoluzione del cantiere e della durata effettiva dei lavori richiede particolare attenzione: il cronoprogramma è uno strumento operativo fondamentale. Quando ci sono sfasamenti temporali significativi, magari perché certe lavorazioni non possono essere eseguite in certi periodi (pioggia, vento forte, neve), occorre aggiornare il cronoprogramma e rivedere le misure di coordinamento. Lasciare il cantiere in condizioni di interruzione prolungata senza regolamentare il periodo di fermo può generare responsabilità: se un ragazzo lancia un pallone che finisce nel cantiere non protetto e si infortuna gravemente entrando a recuperarlo, il coordinatore è il soggetto in posizione di garanzia di quel cantiere.

Il principio di precauzione: agire anche in presenza di incertezza scientifica

Il principio di precauzione rappresenta un concetto fondamentale che orienta le scelte e le azioni di tutela della salute e sicurezza anche in presenza di incertezza scientifica. Stabilisce che quando esiste il sospetto fondato che un’attività, un processo o una sostanza possa comportare un rischio per la salute e la sicurezza, si devono adottare misure preventive anche se non vi è ancora una prova scientifica certa del danno.

Il regolamento prodotti da costruzione CPR (305/2011 entrato in vigore nel 2013, recentemente aggiornato) prevede che tutti i materiali coperti da una norma armonizzata debbano avere la DOP (Dichiarazione di Prestazione) con le relative schede tecniche di sicurezza. Per i coordinatori e i professionisti, scaricare e conservare queste schede rappresenta non solo un obbligo ma anche un contributo concreto al rispetto del principio di precauzione. Tra i requisiti previsti ci sono quelli sulla sicurezza, e consultare le schede permette di valutare anche rischi potenziali non completamente conosciuti.

Il principio di precauzione si traduce operativamente in un dovere del datore di lavoro (ma anche del coordinatore in quanto soggetto in posizione di garanzia) di valutare tutti i rischi potenziali anche quelli non completamente conosciuti, adottare misure di prevenzione e protezione adeguate anche in caso di incertezza, aggiornare costantemente la valutazione dei rischi alla luce delle nuove conoscenze scientifiche o tecnologiche, formare i lavoratori non solo sui rischi noti ma anche su quelli sospetti. Questo principio vuol dire agire prima che il rischio si manifesti, incarnando perfettamente il motto “meglio prevenire che curare”.

 

Pericolo e rischio: due concetti distinti con rilevanza pratica

La distinzione tra pericolo e rischio, definiti rispettivamente alle lettere R e S dell’articolo 2 del decreto legislativo 81/2008, viene spesso confusa anche dai giuristi nei procedimenti penali. Questa distinzione ha rilevanza pratica significativa: quando si dice “non ha valutato il pericolo” oppure “non ha fatto la valutazione dei rischi”, si tratta di due concetti che potrebbero sembrare simili ma non sono intercambiabili.

Il pericolo è definito come proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni. La copertura di un edificio è un pericolo perché ha la proprietà intrinseca di essere in quota, con conseguente potenziale di caduta. Il rischio è invece la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione a un determinato fattore o agente, oppure alla loro combinazione. Se non vado in copertura, non assumo nessun rischio perché non mi espongo.

Come sono in collegamento pericolo e rischio? Attraverso un determinato fattore o agente: se c’è un pericolo devo valutare se ci sono rischi associati. Quindi o elimino il pericolo, oppure nel momento in cui non posso eliminare il pericolo (la copertura non posso eliminarla), cerco di eliminare il rischio o ridurlo a una misura di accettabilità. Per uno stesso pericolo ci sono più fonti di rischio: il rischio totale è dato dalla somma del rischio 1 più rischio 2 più rischio N. Il rischio è una funzione della probabilità che un soggetto subisca un danno qualora sussista l’esposizione a un pericolo.

Prevedibilità ed evitabilità: giudizi che determinano la responsabilità

La valutazione del rischio implica giudizi sulla prevedibilità e sulla inevitabilità dell’evento dannoso. Violare una regola cautelare significa tenere un comportamento che rende prevedibile la verificazione di un evento evitabile. La prevedibilità dell’evento dannoso va collegata alla conoscenza o conoscibilità di leggi scientifiche pertinenti, ovvero alla possibilità di percepire i rischi in relazione alle conoscenze dell’agente modello, tanto più nei casi in cui si tratti di rischi immediatamente percepibili. La previsione deve essere fatta secondo le leges artis, secondo le particolari conoscenze che derivano dalla posizione di garanzia. La giurisprudenza ha chiarito che la prevedibilità dell’evento nei reati colposi non richiede la previsione esatta di come si verificherà l’infortunio, ma è sufficiente rappresentare anche solo una categoria di danni indistinta potenzialmente derivante dalla propria condotta. Se durante un sopralluogo il coordinatore vede lavoratori in copertura senza dispositivi di protezione adeguati, anche se non può prevedere esattamente se e come qualcuno cadrà, deve rappresentarsi che quella situazione può generare cadute dall’alto. Prevedibilità implica automaticamente obbligo di intervento: sospensione della lavorazione, prescrizioni scritte, verifica degli adeguamenti.

Posizione di garanzia e reati omissivi impropri

La posizione di garanzia rappresenta quella situazione giuridica che sorge a carico di determinati soggetti, gravati dall’obbligo di proteggere un soggetto e dall’obbligo di controllo delle fonti di pericolo. L’articolo 40 comma 2 del Codice Penale stabilisce il principio fondamentale: “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Si tratta dei cosiddetti reati omissivi impropri, caratteristici dei soggetti titolari di una posizione di garanzia.

La responsabilità giuridica che grava su questi soggetti (tra cui il coordinatore) richiede di tutelare l’incolumità e la salute dei lavoratori, prevenendo i rischi e impedendo eventi dannosi. Chi riveste tale posizione ha il dovere attivo di intervenire: l’inerzia, l’omissione equivale ad aver causato l’evento. Questo principio si applica non solo quando c’è un infortunio con violazione specifica di norme del decreto 81 (colpa specifica), ma può configurarsi anche attraverso la violazione di regole cautelari generiche (negligenza, imprudenza, imperizia). La distinzione è importante: se dovevo fare la valutazione dei rischi e non l’ho fatta, si configura colpa specifica perché l’obbligo è prescritto esplicitamente (articolo 17 per il datore di lavoro, articoli 91 e 92 per i coordinatori).

Se invece la violazione non riguarda un obbligo specifico scritto si cerca la colpa generica, interrogandosi se quella condotta o quell’evento si sarebbe verificato se il soggetto in posizione di garanzia fosse stato diligente, prudente o avesse dispiegato la perizia che connota la sua attività professionale. Questi sono gli interrogativi che si pongono in un’aula di tribunale, soprattutto quando c’è un infortunio gravissimo

Le misure di prevenzione agiscono sulla probabilità che accada un evento, impedendo che si manifesti. Le misure di protezione intervengono invece sul danno, riducendone le conseguenze quando l’evento si verifica. Esempio pratico nella caduta dall’alto: i parapetti sono misure di prevenzione collettiva perché impediscono fisicamente la caduta. Le linee vita con dispositivi di arresto caduta sono misure di protezione perché non prevengono la caduta ma arrestano il lavoratore prima che colpisca il suolo. La gerarchia prevista dalle misure generali di tutela è: primo eliminare il pericolo alla fonte (lavorare a terra anziché in quota), secondo adottare misure di prevenzione collettiva (parapetti), terzo misure di protezione collettiva (reti di sicurezza), infine misure di protezione individuale (DPI anticaduta). L’allegato XV del D.Lgs. 81/2008 definisce apprestamenti (opere provvisionali), attrezzature (utensili e macchinari), infrastrutture (viabilità, accessi), mezzi e servizi di protezione collettiva.

Questo principio, contenuto nell’articolo 15 lettera f, si traduce operativamente nella scelta consapevole di materiali da costruzione, tecniche costruttive e attrezzature di lavoro che minimizzano i pericoli. Esempi concreti: preferire sistemi di fissaggio meccanico anziché colle con solventi pericolosi quando possibile; utilizzare elementi prefabbricati che riducono lavorazioni in quota; scegliere attrezzature con dispositivi di sicurezza integrati anziché macchinari che richiedono continue regolazioni manuali; optare per tecniche costruttive che permettono di lavorare da posizioni sicure anziché esposte. Per il coordinatore significa valutare già in fase progettuale (PSC) se le scelte tecniche e i materiali previsti sono quelli meno pericolosi disponibili secondo lo stato dell’arte, e verificare in fase esecutiva che le imprese non sostituiscano con alternative più pericolose solo per convenienza economica. Il riferimento al “progresso tecnico” richiama l’articolo 2087 del Codice Civile: non si può invocare l’ignoranza di soluzioni più sicure disponibili sul mercato. Documentare le scelte effettuate secondo questo criterio tutela professionalmente.

La programmazione della prevenzione, prevista dall’articolo 15 come misura generale di tutela, deve mirare a un complesso coerente che integri tecnica, organizzazione del lavoro, condizioni di lavoro, relazioni sociali e influenza dei fattori dell’ambiente lavorativo. Questo principio ribalta l’approccio tradizionale: prima si lavora in prevenzione, successivamente ci si occupa di protezione. Per il coordinatore della sicurezza significa che il Piano di Sicurezza e Coordinamento non può essere un mero elenco di rischi e misure protettive, ma deve rappresentare una vera programmazione integrata che considera come le diverse lavorazioni interagiscono, come l’organizzazione temporale influenza la sicurezza, come le relazioni tra imprese e lavoratori autonomi vanno strutturate per evitare interferenze pericolose. Il cronoprogramma diventa strumento centrale di questa programmazione: non un esercizio accademico ma documento operativo che previene i rischi attraverso la corretta sequenza e sovrapposizione delle lavorazioni.

Le regole cautelari sono norme di comportamento che mirano a prevenire il verificarsi di eventi dannosi o situazioni di rischio prevedibili. Traggono origine da: esperienza comune di attività pericolose (buone prassi, linee guida articolo 2 decreto 81), conoscenze tecniche e scientifiche (norme UNI, quaderni tecnici INAIL, archivio INAIL ex-ISPESL), convenzioni adottate per contenere pericoli (protocolli aziendali, procedure operative). Violare una regola cautelare significa tenere un comportamento che rende prevedibile un evento evitabile. I giudici, che non sono tecnici, si avvalgono di consulenti ma devono decidere secondo diritto: assumono le regole cautelari come premesse di sillogismi logici (se A e B allora C) per dedurre responsabilità o assolvere. Regole cautelari violate danno luogo a colpa generica (negligenza, imprudenza, imperizia) distinta dalla colpa specifica (violazione diretta di norme decreto 81). Esempio: l’articolo 123 prescrive montaggio/smontaggio opere provvisionali sotto diretta sorveglianza preposto. È regola cautelare già scelta dal legislatore: al semplice riscontro dell’assenza del preposto si configura violazione.

L’agente modello è l’homo eiusdem professionis et conditionis: l’uomo avveduto e coscienzioso in ragione della professione e condizioni. Non è il concreto soggetto agente (premierebbe l’ignoranza), né l’uomo medio (abbasserebbe lo standard), né l’uomo più esperto, ma l’agente ideale che svolge al meglio il compito in base all’esperienza collettiva. Sentenze fondamentali (Liceo Darwin di Torino, Thyssen Group) stabiliscono che la comunità si aspetta che chi assume posizione di garanzia si ispiri a questo modello. Per il coordinatore significa: possedere o acquisire patrimonio di conoscenze idoneo attraverso aggiornamento continuo (40 ore quinquennali non è formalità ma sostanza), capacità di prevedere eventi dannosi anche non completamente noti, coordinamento con altri soggetti in posizione di garanzia, obbligo di abbandonare la funzione previa adeguata segnalazione se non si è in grado di svolgerla secondo questi standard. La diligenza richiesta è quella qualificata dell’articolo 1176 comma 2 Codice Civile. L’ignoranza della norma o della sua interpretazione non costituisce scusante ma fonte di responsabilità.

Le misure generali di tutela per i cantieri comprendono: mantenimento del cantiere in condizioni ordinate e di soddisfacente salubrità (un cantiere disordinato è un cantiere pericoloso; le fotografie degli organi di vigilanza sono prove decisive nei procedimenti). Scelta dell’ubicazione dei posti di lavoro (posizionamento betoniera, gru, depositi). Condizioni di movimentazione materiali. Manutenzione e controllo periodico di apprestamenti, attrezzature, impianti (redigere verbali documentando le verifiche effettuate). Adeguamento in funzione dell’evoluzione del cantiere e durata effettiva (aggiornare cronoprogramma quando ci sono sfasamenti; regolamentare periodi di fermo lavori per evitare responsabilità se qualcuno entra nel cantiere non protetto). Cooperazione e coordinamento tra datori di lavoro e lavoratori autonomi. Interazione con attività che avvengono all’interno e in prossimità del cantiere. Il coordinatore deve verificare che il POS rispetti questi principi: come può ritenere idoneo un piano che li ignora? Documentare sempre l’iter logico seguito nella verifica attraverso verbali, comunicazioni scritte, prescrizioni con termini di adeguamento.


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