L’avvio alla professione richiede oggi una consapevolezza che va ben oltre le competenze acquisite durante il percorso di studi, abbracciando quella dimensione tecnico-giuridica che caratterizza sempre più l’esercizio professionale contemporaneo. Il “giuridico pensiero”, come viene definita la crescente incidenza delle norme e della giurisprudenza sulla pratica quotidiana, rappresenta un elemento imprescindibile per chi si appresta a esercitare questa professione che, pur con le sue difficoltà, si conferma meravigliosa e gratificante per chi la affronta con spirito e passione adeguati.
Il percorso formativo proposto dal Centro Studi Tecnojus, presieduto fino al 2025 dal relatore – l’architetto Romolo Balasso – ora presidente dell’Ordine degli Architetti di Vicenza, si colloca proprio in quell’area grigia intermedia tra il mondo tecnico e il mondo del diritto, con l’obiettivo di approfondire le disposizioni normative e le interpretazioni giurisprudenziali che definiscono il perimetro e i contenuti della professione.
Il fondamento normativo: dalla legge del 1923 al DPR 328/2001
La normativa che regola le attività professionali dell’architetto affonda le radici nella legge 1395 del 24 giugno 1923. L’articolo 1 stabilisce che il titolo di ingegnere e quello di architetto spettano a coloro che hanno conseguito i relativi diplomi, principio successivamente rafforzato dal DPR 328/2001 che attribuisce il titolo a chi è iscritto all’albo. Il disegno di legge delega attualmente in discussione intende ulteriormente consolidare questo principio, specificando che il titolo di architetto spetta esclusivamente a chi è iscritto all’albo e che per esercitare la professione, anche per conto della pubblica amministrazione, non sia sufficiente il conseguimento della laurea ma occorrano abilitazione e iscrizione.
L’articolo 52 del Regolamento del 1925 (RD 2537) definisce l’oggetto dell’attività professionale con una formulazione ancora oggi fondamentale: “formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative”. Il successivo articolo 51 specifica che sono di spettanza il progetto, la condotta (direzione lavori) e la stima dei lavori. Questa normativa quasi centenaria costituisce ancora oggi, insieme al DPR 328/2001, il caposaldo dell’ordinamento professionale.
Il secondo comma dell’articolo 52 introduce però una riserva significativa: le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico, e il restauro e ripristino degli edifici contemplati dalla normativa sui beni culturali, spettano esclusivamente all’architetto. Questa disposizione riconosce la priorità del profilo culturale, pur ammettendo che la parte tecnica possa essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere, distinzione non sempre agevole nella pratica operativa.
La progettazione: conformità tecnica e giuridica
La progettazione rappresenta l’attività principale dell’architetto, ma richiede oggi una doppia conformità che va ben oltre la mera competenza tecnica. Una sentenza della Cassazione Civile del 2013 stabilisce che il progettista deve assicurare la conformità del progetto alla normativa urbanistica e individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, in modo da assicurare la preventiva e corretta soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell’opera richiesta dal committente.
Questa disposizione giurisprudenziale, che trova fondamento nell’obbligo di diligenza qualificata sancito dall’articolo 1176 comma 2 del Codice Civile, ribalta l’approccio tradizionale: il progettista non deve limitarsi a rispettare le regole tecniche delle scienze delle costruzioni, ma deve riversare sul progetto le conformità pretese dalla disciplina normativa che regola l’intervento. Normativa urbanistica, edilizia, paesaggistica, ambientale, sui beni culturali: tutte le disposizioni che tutelano interessi pubblici e beni giuridici di rilievo costituzionale devono essere considerate e integrate nel progetto.
Ancora più significativa è l’affermazione che spetta al progettista individuare il corretto percorso amministrativo: non può essere la pubblica amministrazione a indicare quale titolo abilitativo sia necessario (CILA, SCIA, permesso di costruire), ma deve essere il professionista a qualificare tecnicamente e giuridicamente l’intervento e a individuare la procedura corretta. La ratio di questo orientamento risiede nella natura bicefala della professione: siamo al servizio del committente privato ma anche garanti dell’interesse pubblico. La limitazione del diritto proprietario (ius aedificandi) attraverso vincoli urbanistici, paesaggistici, culturali non è vessazione burocratica ma tutela di valori costituzionalmente protetti: il territorio, il paesaggio, l’ambiente, il patrimonio culturale. Il progettista che ignora questo aspetto non assolve compiutamente al proprio mandato professionale.
La direzione lavori: complessità operativa e responsabilità di garanzia
A differenza dei lavori pubblici, dove esiste una disciplina articolata che definisce puntualmente compiti e responsabilità del direttore lavori, nell’ambito privato manca una normativa sistematica. Il Testo Unico dell’Edilizia prevede la figura del direttore lavori all’articolo 29, ma senza definire esattamente cosa debba fare, quando e come.
La direzione lavori si configura come attività tecnica di sorveglianza e controllo per garantire la conformità dell’opera al progetto. L’articolo 1662 del Codice Civile stabilisce che il committente ha diritto di controllare i lavori e verificarne lo stato, affinché l’esecuzione avvenga conformemente al progetto e a regola d’arte. Ma questo non impone l’obbligo generale di nominare un direttore lavori, salvo casi specifici: opere soggette a permesso di costruire (dove la modulistica unificata richiede la nomina), opere strutturali in cemento armato, costruzioni in zona sismica.
Il concetto di “regola d’arte” merita particolare attenzione: non essendo codificabile normativamente, si tratta di un concetto dinamico e relativo, che evolve nel tempo e varia nello spazio. La regola d’arte italiana negli anni 2020 non è quella del Novecento, così come non coincide con standard costruttivi di altri paesi. Questa relatività spazio-temporale rende la valutazione della corretta esecuzione un’attività professionale delicata che richiede esperienza, conoscenza dei materiali e delle tecniche costruttive contemporanee, consapevolezza delle evoluzioni tecnologiche.
La direzione lavori può essere svolta per conto del committente (controllo della conformità al progetto e della regola d’arte nell’esecuzione) o per conto dell’appaltatore (organizzazione esecutiva). Questa distinzione non è accademica ma sostanziale: nel primo caso il professionista assume una posizione di garanzia nei confronti del committente, rispondendo dell’esatta esecuzione dell’opera; nel secondo caso coordina l’organizzazione del cantiere dell’impresa. Quando si assume un incarico di direzione lavori è fondamentale definire contrattualmente il perimetro dell’attività, evitando di essere chiamati a rispondere di vizi relativi a lavorazioni che non sono state effettivamente controllate.
La consulenza tecnica: ausiliario del giudice e garante del processo
L’attività di consulenza tecnica si articola in ambito giudiziale (davanti a un tribunale) e stragiudiziale (composizioni bonarie, arbitrati). In ambito giudiziale esiste una distinzione: nel processo civile e amministrativo si parla di consulente tecnico d’ufficio (CTU) e consulente tecnico di parte (CTP); nel processo penale si utilizzano i termini perito (del giudice) e perito di parte.
Il CTU o perito è un ausiliario del giudice, soggetto a una disciplina specifica relativamente all’incarico, allo svolgimento e al compenso. L’iscrizione nell’albo dei CTU o dei periti presso il tribunale richiede requisiti specifici e la garanzia dell’ordine professionale circa le qualità deontologiche e morali del professionista, oltre alla preparazione tecnica. Recentemente è stato introdotto anche un requisito di anzianità minima di iscrizione all’albo professionale (5 anni per alcune attività).
Lo svolgimento dell’incarico richiede il rispetto di principi processuali fondamentali: il principio dispositivo (le prove le portano le parti), il principio del contraddittorio (tutte le parti devono poter partecipare e contraddire), il principio della domanda (si risponde solo a quanto chiesto dal giudice attraverso i quesiti). La consulenza può essere deducente (quando il consulente applica le proprie conoscenze a fatti già acquisiti) o percipiente (quando deve acquisire direttamente percezioni attraverso sopralluoghi, verifiche, accertamenti). In ogni caso, l’attività del consulente tecnico richiede particolare cautela: le dichiarazioni di scienza contenute nelle relazioni tecniche possono configurare, se false, reati di falsità ideologica.
Le valutazioni immobiliari: dalla stima empirica agli standard internazionali
Le valutazioni immobiliari rappresentano un’attività che ha subito una profonda evoluzione negli ultimi anni, passando da approcci empirici a metodologie standardizzate secondo parametri nazionali e internazionali (EVS – European Valuation Standards e IVS – International Valuation Standards). Il perito estimatore deve determinare il valore economico di un bene, tipicamente il più probabile valore di mercato, ma anche altri valori: di trasformazione, complementare, di surrogazione.
L’attività valutativa richiede l’integrazione di competenze tecniche, economiche e normative. Non si tratta più di esprimere un’opinione basata sull’esperienza personale, ma di applicare metodologie riconosciute: il metodo comparativo (confronto con transazioni di immobili simili attraverso i “comparabili”), il metodo della capitalizzazione dei redditi, il metodo del costo. La scelta del metodo deve essere motivata e documentata.
Un aspetto cruciale, spesso sottovalutato, riguarda l’analisi della legittimità urbanistica ed edilizia dell’immobile oggetto di stima. Un immobile in stato non legittimo ha un valore di mercato significativamente inferiore a uno conforme, sia per i costi di regolarizzazione sia per i rischi giuridici connessi. Il valutatore deve quindi possedere sia competenze di verifica della conformità urbanistico-edilizia, sia capacità di analisi delle caratteristiche tecniche, dello stato di conservazione e delle condizioni di mercato.
I collaudi: responsabilità tecnica e garanzia dell’interesse pubblico
Il collaudo rappresenta un’attività caratterizzata da una doppia valenza, tecnica e giuridica, che richiede requisiti specifici e comporta responsabilità significative. Il collaudatore deve essere un soggetto terzo che esprime un giudizio professionale qualificato prima che l’opera venga portata in esercizio. La terzietà è elemento essenziale: non si può collaudare un’opera alla cui progettazione, direzione lavori o realizzazione si sia partecipati.
Il collaudo statico richiede l’iscrizione da almeno dieci anni all’albo professionale, requisito che riconosce l’importanza dell’esperienza oltre alla competenza tecnica. La stabilità strutturale non è verificabile solo attraverso calcoli e formule, ma richiede quella competenza esperienziale che deriva dall’aver visto, progettato, diretto, verificato strutture reali nel corso degli anni. Le regole dell’arte (leges artis) includono non solo norme e regole tecniche, ma anche regole di esperienza che solo la pratica prolungata può sedimentare.
Esistono diverse tipologie di collaudo: tecnico-amministrativo (tipico dei lavori pubblici ma presente anche nell’edilizia privata complessa), statico, impiantistico, delle opere di urbanizzazione, delle reti tecnologiche. Su quest’ultimo punto occorre particolare cautela: il collaudo di impianti tecnologici complessi (fotovoltaici, termoidraulici, elettrici) richiede competenze specifiche che non tutti gli architetti possiedono. Prima di accettare un incarico di collaudo occorre verificare di possedere le conoscenze necessarie per esprimere un giudizio tecnicamente fondato. Nel collaudo è infatti richiesta una diligentia quam in concreto, la massima diligenza professionale qualificata. Le dichiarazioni del collaudatore hanno valore di scienza e possono configurare falsità ideologica se non corrispondenti al vero. In alternativa al collaudo statico, per determinate tipologie di opere è ammesso il certificato di regolare esecuzione redatto dal direttore dei lavori, che non richiede requisiti particolari di anzianità. Questa opzione è meno onerosa, ma trasferisce al direttore lavori una responsabilità significativa sulla conformità e corretta esecuzione dell’opera.
L’importanza della documentazione e dell’iter logico
Per i giovani professionisti è importante sviluppare sin dall’inizio l’abitudine di documentare l’iter logico-intellettivo seguito nello svolgimento della prestazione: il percorso decisionale, le scelte tecniche, le verifiche effettuate, le fonti consultate. La capacità di declinare le leges artis applicate nella propria attività professionale significa esplicitare quali norme tecniche si sono seguite, quali buone prassi si sono adottate, quali standard professionali si sono rispettati, quali metodi di calcolo o di valutazione si sono applicati. La documentazione è tutela professionale: in caso di contestazioni o verifiche, l’unica prova di aver operato con diligenza qualificata è costituita dalla documentazione prodotta. Relazioni tecniche, calcoli, verifiche, verbali, comunicazioni, fotografie: tutto contribuisce a costruire quella “difesa documentale” che può fare la differenza tra il riconoscimento della correttezza professionale e l’accertamento di responsabilità.
Le attività riservate in via esclusiva sono quelle che solo chi possiede l’abilitazione professionale può svolgere (es. progettazione architettonica, direzione lavori di opere edili). Le attività di competenza specifica non sono formalmente riservate ma sono univocamente riconosciute come proprie di una professione: secondo la Cassazione Penale (Sezioni Unite 2012), anche queste configurano esercizio abusivo se svolte con continuità, onerosità e organizzazione da chi non è abilitato, perché creano nei terzi l’affidamento di trovarsi davanti a un professionista regolare. Esempio: le consulenze tecniche giudiziali non sono formalmente riservate per legge, ma di fatto sono ritenute di competenza specifica dei professionisti iscritti agli albi.
La giurisprudenza consolidata (Cassazione Civile) stabilisce che tra gli obblighi del progettista, rientranti nella diligenza qualificata dell’articolo 1176 comma 2 del Codice Civile, vi è quello di individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare (CILA, SCIA, permesso di costruire). Questo perché il professionista è garante non solo dell’interesse privato del committente ma anche dell’interesse pubblico: deve assicurare che l’opera sia realizzabile legalmente rispettando le norme urbanistiche, paesaggistiche, culturali che limitano il diritto proprietario a tutela di valori costituzionalmente protetti. Il mancato conseguimento del titolo abilitativo per errore di qualificazione dell’intervento configura inadempimento contrattuale con diritto del committente al risarcimento.
Non esiste obbligo generale di nomina del direttore lavori nell’edilizia privata, salvo per opere soggette a permesso di costruire (dove la modulistica lo richiede), strutture in cemento armato e costruzioni in zona sismica. L’articolo 1662 del Codice Civile riconosce al committente il diritto di controllare che i lavori siano eseguiti conformemente al progetto e a regola d’arte, ma non impone la nomina. Nel mondo privato manca una definizione normativa puntuale delle attività del direttore lavori, a differenza dei lavori pubblici dove è tutto disciplinato. Fondamentale è definire contrattualmente il perimetro dell’incarico: direzione lavori per conto del committente (controllo conformità e regola d’arte) o per conto dell’appaltatore (organizzazione esecutiva), specificando quali lavorazioni rientrano nel controllo per evitare responsabilità su vizi relativi a prestazioni non effettivamente seguite.
La regola d’arte è un concetto non codificato normativamente perché dinamico e relativo: evolve nel tempo (la regola d’arte del 2025 non è quella del 1950) e varia nello spazio (la regola d’arte italiana non coincide con quella di altri paesi). Rappresenta lo standard costruttivo riconosciuto dalla comunità tecnica in un dato momento storico e contesto territoriale. Per gli impianti, il decreto ministeriale stabilisce che l’osservanza delle norme CEI equivale a regola d’arte; per l’edilizia non esiste analoga disposizione, anche se le norme
tecniche UNI e le NTC (Norme Tecniche per le Costruzioni) costituiscono riferimenti fondamentali. Dimostrare l’esecuzione a regola d’arte richiede documentazione: relazioni tecniche, scelte motivate dei materiali, fotografie delle fasi costruttive, certificazioni di qualità, attestazioni di conformità. L’assenza di documentazione rende difficilissimo provare la correttezza esecutiva.
Per svolgere attività di CTU (consulente tecnico d’ufficio) o perito occorre: iscrizione all’albo professionale, iscrizione nell’albo dei CTU/periti presso il tribunale (che richiede presentazione con garanzia del presidente dell’ordine sulle qualità deontologiche e morali), in alcuni casi anzianità minima di 5 anni. Il CTU è ausiliario del giudice e deve rispettare principi processuali: principio dispositivo (le prove le portano le parti), principio del contraddittorio (tutte le parti devono poter partecipare), risposta ai soli quesiti del giudice. Cautele: le dichiarazioni di scienza possono configurare falsità ideologica se non veritiere; non basta compilare modulistiche ma occorre svolgere analisi rigorose documentate; la diligenza richiesta è quam in concreto; documentare sempre l’iter logico seguito con relazioni dettagliate, fotografie, verifiche motivate.
Il requisito di anzianità (10 anni per il collaudo statico, 5 anni per quello tecnico-amministrativo) riconosce che la verifica della stabilità strutturale richiede non solo competenza tecnica ma anche competenza esperienziale. Le leges artis includono regole tecniche, norme, ma anche regole di esperienza che derivano dall’aver visto, progettato, diretto, verificato strutture reali nel corso degli anni. Il collaudatore deve essere terzo (non aver partecipato a progettazione/direzione/realizzazione) ed esprime un giudizio professionale qualificato prima che l’opera venga caricata e portata in esercizio. La responsabilità è significativa: le dichiarazioni del collaudatore hanno valore di scienza e le falsità configurano reato. L’origine della regolamentazione professionale risiede proprio nella tutela della sicurezza strutturale dopo il terremoto di Messina nel 1908. Cautela particolare per collaudi impiantistici complessi: accettare solo se si possiedono competenze specifiche per esprimere giudizio tecnicamente fondato.







